Veronese di nascita, nomade di adozione, Camilla ha vissuto a Milano, Parigi, Melbourne e attualmente New York con suo marito e i loro due figli Emma Rose e Timothy. Dopo aver lavorato come Graphic Designer per svariati anni ha deciso di lanciarsi come stilista sostenibile. Il suo impegno verso una produzione che metta al centro i diritti e il rispetto per l’essere umano e la natura unito alla sua passione per l’arte, i viaggi, le culture del mondo sono sfociati in un brand innovativo, etico, elegante, unico.

Da dove nasce il marchio Amorilla?
Ufficialmente a Marzo del 2018 con la prima Storia d’Amore che ho chiamato “India” poiché realizzata interamente in Rajasthan, anche se nella mia testa l’idea era già presente da almeno un anno prima. Ho studiato Design della Comunicazione in Italia e ho sempre lavorato come graphic designer, ma qui a New York ho sentito di voler cambiare e di poter creare qualcosa di interamente mio. In quegli anni ho iniziato a informarmi sulla moda sostenibile e, dopo aver visto il documentario The true cost (https://truecostmovie.com), non ho più potuto fare finta di non sapere cosa si nascondesse dietro il basso costo di moltissimi dei capi che compravo. La maggior parte di essi, provenienti da brand che conosciamo, non sono prodotti in maniera sostenibile, non rispettano cioè le norme etiche che per il mondo occidentale sono considerate come diritti basilari dei lavoratori: parlo di sfruttamento minorile, sicurezza sul posto di lavoro, la possibilità di poter far parte di un sindacato e tanto altro. Ho quindi deciso di creare alcuni video sul mio canale You Tube che parlassero di questa realtà e ho subito riscontrato da parte di chi mi seguiva un grande stupore nello scoprire la verità sulla fast fashion. D’altra parte sorgeva la domanda: poiché le alternative sono poche come possiamo fare scelte d’acquisto sostenibili? Dietro ad Amorilla c’è stato questo pensiero. Volevo creare una linea che seguisse interamente questi principi, che fosse anche estremamente trasparente con il consumatore, spiegando ogni singola scelta ed il suo perché. Il mio intento non è creare collezioni alla moda che passano in fretta ma Storie d’Amore che nascono da un colpo di fulmine verso una tradizione tessile facendola divenire così duratura. Utilizzo stoffe locali, lavoratori e laboratori del luogo, addirittura le etichette e i fili vengono dalla zona. Tutto il processo é sostenibile ed avviene in pieno rispetto dei diritti dei lavoratori coinvolti, con i quali divento spesso amica grazie al frequente contatto che instauriamo durante la lavorazione.


Qual’è stata la maggiore difficoltà che hai affrontato?
Per la Storia d’Amore “India” sicuramente il non poter seguire di persona la produzione: per iniziare ho ripreso in mano il contatto di un ragazzo indiano che ha un negozio a Verona la città dove sono nata. Ricordavo avesse dei parenti che producevano vestiti in India e così ci siamo sentiti per telefono. Mi ha seguito per i primi 6-7 mesi di produzione, durante i quali sono rimasta in costante contatto con lui in Italia e con suo fratello in India. Era tutto un avanti indietro tra India e USA di campioni di tessuti, campioni colore e dei veri e propri vestiti, per far sì che io potessi toccare con mano i capi e dare loro le direttive più dettagliate possibili per creare gli abiti che avevo in mente. Per la Storia d’Amore “Italia” invece ho lavorato con una modellista e due sarte vicino a Verona. Sono stata 4 settimane in Italia per prendere i contatti, scegliere i tessuti migliori ed avviare la produzione.

A cosa ti ispiri per realizzare i tuoi capi d’abbigliamento?
Una forte influenza ce l’hanno gli abiti vintage che mi hanno tramandato mia nonna e le mie prozie. Nelle mie linee si vede dai soffietti intorno alle maniche e sulla vita che ho inserito nella Love Story “Italia” ma traggo ispirazione anche dalle persone che incontro per strada: New York é sicuramente una fonte inesauribile di stili e di personalità.
Quanto pensi sia importante usare materiali naturali?
Il tessuto è uno degli aspetti su cui pongo maggiore attenzione. Siamo ormai abituati ad indossare tessuti poco performanti, non traspiranti, senza renderci conto di quanto sia dannoso per la nostra pelle. Un capo per essere innocuo deve essere privo di sostanze nocive che purtroppo spesso invece vengono utilizzate nell’industria della moda. Penso che sia molto importante capire la differenza indossando i tessuti naturali, provarli sulla pelle. Io parto sempre dalla scelta di un tessuto naturale, ipooallergenico, biologico, coltivato in loco e prodotto in maniera sostenibile. Per la Love Story “India” ho utilizzato un cotone locale, il Khadi, che viene intessuto a mano su telai tradizionali secondo una tecnica indiana. E’ un tessuto antichissimo e dalle molte proprietà: mantiene infatti la temperatura corporea costante ed é estremamente morbido ma allo stesso tempo resistente ai lavaggi e all’uso. Inoltre fu utilizzato da Gandhi come simbolo della rivoluzione economica, in contrapposizione al cotone imposto dagli Inglesi. Per la collezione “Italia” invece ho lavorato sempre con laboratori locali, italiani, che hanno creato un tessuto raro ed estremamente confortevole, mixando la fibra di canapa italiana, biologica di sua natura perché é una pianta che non ha bisogno di trattamenti chimici per essere coltivata e la fibra di lana di yak, che é l’alternativa sostenibile al cachemire. E’ un filato molto pregiato ed é tra i più leggeri e morbidi di origine animale. Si parla di fibra sostenibile perché la lana viene recuperata dai cespugli, dopo essere rimasta impigliata in maniera naturale.

Che altre stoffe alternative esistono?
Spesso “naturale” non significa “sostenibile” e di tessuti veramente sostenibili ne esistono, al momento, davvero pochi. La seta ad esempio è naturale ma non è sostenibile perché vengono uccisi i bachi. Ci sono alternative alla seta, come la viscosa che deriva dalla cellulosa degli alberi. Non la considero comunque un’alternativa che prenderei in considerazione perché per essere prodotta si devono abbattere molte piante. Sono in corso molte sperimentazioni su come creare tessuti stabili che possano essere delle reali alternative non di origine animale ma particolarmente sostenibili perché derivanti da scarti come il tessuto creato dalla fibra dell’ananas o delle arance, dalle bucce dell’uva o addirittura dalla polvere di marmo.
Come si può sensibilizzare il consumatore su questi temi?
Occorre spiegare sempre il valore tangibile del capo, la sua storia e le varie scelte produttive, che tessuto é stato utilizzato, se ci sono certificazioni sui colori, dove é stato realizzato e da chi. Questo è ciò che lo rende unico e di valore. La moda è spesso associata ad un’attività di svago: si prova piacere nell’acquistare, sopratutto quando si fanno “grandi affari” e spesso non si legge neanche l’etichetta di quello che si compra. Bisognerebbe tornare a fare acquisti in maniera cosciente scegliendo solo capi che ci servono, di cui conosciamo ed apprezziamo la storia, che ci stanno bene e che dureranno nel tempo. Bisognerebbe preferire la qualità alla quantità e dare un valore all’acquisto, fermandosi a pensare piuttosto che cedere al basso prezzo, che nasconde non solo una pessima qualità della materia prima e della lavorazione dei capi, ma purtroppo anche storie di sfruttamento e schiavitù che sono più frequenti, anche in Italia, di quanto osiamo immaginare.
Anche nella tua quotidianità segui uno stile di vita sostenibile?
Cerco il più possibile. Qualche anno fa ero molto concentrata sulla moda sostenibile e meno sugli altri aspetti della vita quotidiana. Come per la moda, ho iniziato ad informarmi e a fare ricerca per capire come potessi rendere il più possibile sostenibile ogni mio acquisto. E’ uno stile di vita che mi piace e che voglio portare avanti per coerenza. Sono però convinta di una cosa: non serve che poche persone rendano sostenibile al 100% la loro vita, quando tutto il resto della popolazione fa poco. Bisognerebbe piuttosto che tutti ci impegnassimo anche solo un minimo ad avere uno stile di vita più ecologico e meno impattante, solo così si può veramente fare la differenza.
I tuoi progetti per il futuro?
Puntare su Amorilla. Creare modelli e grafiche memorabili, aumentare la gamma delle taglie disponibili e perché no, mettermi nell’ordine di idee di creare negozi fisici oltre alla vendita online. Ho già nella testa tre collezioni pronte, ma so che solo con il tempo e le persone giuste riuscirò a portarle a termine come prefissato. In più continuerò ad informare chi mi segue sull’importanza di fare acquisti e scelte sostenibili. Abbiamo un potere enorme come consumatori e dobbiamo farci valere, chiedendo maggiore trasparenza e qualità dai brand di moda.

Consigli per le giovani che vogliono avviare una loro attività?
Essere originali e portare avanti qualcosa di creativo che non esiste già. Per farlo bisogna portare a galla la propria personalità e sopratutto esercitarsi a tirare fuori il proprio stile. Adesso tutti prendono ispirazione da Instagram e da Pinterest: il risultato é che tutti copiano tutti e nessuno si ferma a creare qualcosa che abbia veramente un quid e che sia una novità. Usare scorciatoie non porta lontano, se uno vuole distinguersi deve impegnarsi.
Che libro stai leggendo ora?
Ho appena terminato “Becoming” di Michelle Obama, un libro schietto e ispirante. In questo momento sto leggendo “La parete” di Marlen Haushofer e ho giá pronti nella libreria ad aspettarmi “L’amica geniale” e un libro di moda sostenibile, disponibile solo in Italia “Siete pazzi a indossarlo” di Elizabeth L. Cline.

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