“Mi ha parlato di te Laura” (nome inventato). “E riguardo a cosa?”. “A Bloom as you are. Pensa che la mia storia potrebbe interessarti”. “Di cosa si tratta?”. “Lavoro nel campo della moda e in questo periodo sto ricoprendo le mie origini. Un pò come se stessi rifiorendo”.
La mia conversazione con Charity è iniziata così. Un’affinità di vissuti che si intrecciano e costruiscono mano nella mano nuovi percorsi. Le vite quando brillano si incontrano creando inaspettatamente e meravigliosamente una luce ancora più intesa, che modella con maestranza e precisione un radioso futuro. Non ho mai creduto che le cose accadano per caso e anche questo incontro ne è stata l’ennesima conferma. Spinta da un’inesauribile passione, superando ostiche difficoltà apparse sia nell’ambiente che nella sfera intima della vita, questa forte e splendida ragazza è riuscita a gettare le basi per uno dei suoi sogni e, una volta aperta la strada maestra, a continuare a percorrerlo in un approfondimento senza fine, con se stessa e le sue radici. Il lavoro come Image Consultant, la moda sostenibile, il legame con l’Africa, il desiderio di aiutare e valorizzare la bellezza degli altri. Charity incarna la gioia di vivere, la gioia di essere così come siamo.
Quando è nata la tua passione per la moda?
Ero molto piccola e condividevo la stanza con mia sorella che ha un anno in meno di me. Ci divertivamo molto a combinare gli outfit in base alla nostra personalità, il nostro gusto e a come ci sentivamo in un determinato momento.
Come sei arrivata al tuo lavoro di Image Consultant?
Il punto di partenza è stato tutt’altro. Sono sempre stata una sportiva e ho giocato a pallavolo fino ai 19 anni. Avrei voluto fare la giocatrice per tutta la vita ma una volta diplomata, a causa di una trombosi, ho dovuto smettere. Decisi di intraprendere quindi un percorso che si avvicinasse alla moda. Milano sarebbe stata la situazione ideale, ma i costi per un eventuale percorso di studi erano molto alti e per me insostenibili all’epoca. Decisi quindi di iscrivermi all’Università di comunicazione e marketing a Reggio-Emilia con la determinazione che diventasse un trampolino di lancio per arrivare al mondo della moda. Al contempo intrapresi un percorso di formazione all’Accademia del Lusso di Milano, un corso in fashion styling che mi impegnava un giorno alla settimana. Grazie ad esso ho potuto in seguito svolgere uno stage come assistente Art Director dove mi sono occupata dell’immagine di brand e di talenti emergenti nel mondo del cinema. Negli anni dall’ambito della comunicazione sono poi passata a quello della moda. Da vestiarista ai fitting nei backstage di alcune sfilate. Ora sono Image Consulting, vivo a Milano e insegno questa materia proprio all’Accademia del Lusso.
Nel luogo in cui lavori c’è un’esperienza che ti ha particolarmente colpita?
Sono tante ma ricordo soprattutto due situazioni che mi hanno riempita di gioia. Una è avvenuta quando ho seguito come tutor un percorso finale di tesi. Insieme alla studentessa abbiamo deciso di raccontare il percorso della consulenza di immagine svolto insieme a una ragazza non vedente. Abbiamo strutturato il lavoro in modo da mettere in luce l’aspetto dei 5 sensi e quanto fosse fondamentale per una ragazza molto timida, non vedente, scegliere un abito che al tatto fosse estremamente in sintonia con il proprio mood quotidiano. Quindi sentirsi bene anche senza usare la vista. E’ stato un percorso molto profondo e molto emozionante. Il giorno in cui ha discusso la tesi, ricordo la grande commozione di tutti. L’altra situazione è stata con una ragazza che stava affrontando un percorso di transizione da maschio a femmina. Anche in questo caso è stato importantissimo curare ogni dettaglio. Abbiamo lavorato su cosa le servisse per valorizzare la meravigliosa donna che stava diventando grazie anche all’utilizzo di un make-up giusto e adatto al suo volto. Un’esperienza meravigliosa.
Quale pensi che sia il ruolo del docente e come vivi tu il rapporto con il studenti?
Sicuramente quello che cerco di fare ogni giorno è aiutare ogni studente a far emergere il proprio potenziale. Ogni corso mira in primis al raggiungimento della consapevolezza del proprio aspetto, dei propri gusti, dell’analisi di come si è e dei colori che maggiormente ci illuminano. Senza nascondersi e senza pretendere di assomigliare a qualche altro individuo, sperimentiamo e scopriamo insieme che cosa ci valorizza al 100%. Così facendo, si ha la possibilità di riorganizzare il proprio guardaroba in base alle proprie reali esigenze e a fare tante altre ricerche apprezzando il proprio corpo. Nel delicato lavoro di consulente di immagine, si interviene nel trasformare l’immagine di un’altra persona. E’ bene quindi partire dalla propria immagine personale. Sono cresciuta molto grazie a questa esperienza di docente. Avere a che fare con molte persone diverse non è facile.
In questo momento di reclusione, che consiglio daresti per continuare a valorizzare il nostro stile?
E’ il momento ideale per riscoprirci, capire quello che ci piace e quello che non ci piace, fare delle prove senza giudicarci. Provare un rossetto, uno smalto nuovo. Fare la pulizia dell’armadio, se non l’abbiamo ancora fatta, e provare quegli abiti che non indossiamo da tempo. Un abito evoca una sensazione, è un modo di esprimersi. Se siamo a casa possiamo usare un pò del nostro tempo per capire che tipo di emozione ci da un certo rossetto, un abito e così via.
Che cosa è per te la moda?
E’ sviluppare la propria creatività, realizzare diverse combinazioni per diversi obiettivi. La moda deve rimanere anche un gioco. Quando viene vista in modo troppo serioso diventa scontata.
E’ anche il secondo settore industriale che inquina di più al mondo. Qual è la tua visione rispetto alla moda sostenibile?
Siamo arrivati a un punto, e il Covid-19 ce l’ha dimostrato, che non possiamo più vivere in un mondo che non sia sostenibile. E la vita che stiamo conducendo non lo è. O almeno non abbastanza. Ho scoperto da qualche anno il vintage e con esso il piacere di riutilizzare gli abiti, ridare loro un nuovo splendore. Possiamo mettere in campo tantissime azioni per non sprecare, come scambiarci gli abiti o riciclarli. La sostenibilità parte da un desiderio che va poi declinato e applicato nelle varie fasi produttive. L’impegno riguarda tutti: dal piccolo consumatore alla grande distribuzione ma penso che questo tema ricada molto sul consumatore. Siamo noi che abbiamo il potere di cambiare la grande distribuzione. Fino a che continueremo a comprare fast fashion creeremo la domanda e l’offerta ci sarà fornita. Dobbiamo decidere di cambiare le nostri abitudini.
Una persona che fino a ieri ha comprato fast fashion come può invertire la rotta e creare un armadio sostenibile?
Lo può riorganizzare con la regola dei tre cioè ogni articolo deve essere abbinabile a tre capi. Non è più necessario avere 15 gonne nel proprio guardaroba. Quindi prima di tutto possiamo decidere di ridurre il numero degli abiti che abbiamo. E spingerci, sforzarci di fare più abbinamenti. Sono veramente passi fattibili per ognuno e ti fanno entrare in una dimensione che promuove la sostenibilità. Pensiamoci. Abbiamo un sacco di vestiti che non indossiamo più. Come accennavo prima possiamo donarli o riutilizzarli, riscoprirli. Le tendenze passano e ritornano, sempre più spesso sarà così. La giacca vintage della nonna che ci piace tantissimo per esempio può diventare un must have del nostro armadio e può essere combinata con diversi capi che abbiamo già. E’ un modo per riscoprire le proprie potenzialità. Inoltre penso che dovremmo imparare ad integrare con gusto quello che realmente ci serve.
Secondo te perché c’è questo bisogno spasmodico di comprare continuamente?
Perché dobbiamo riempire dei buchi, dei vuoti. Questo momento ci può servire per capire che tutto quello di cui abbiamo bisogno è in realtà già dentro di noi. Noi stiamo chiedendo ai grandi marchi di cambiare tutto l’ordine di produzione. Ci arriveremo, ci vuole tempo. Quello che possiamo fare noi oggi è cominciare dal nostro piccolo.
Che futuro vedi nell’ambito della moda da qui ai prossimi 10-20 anni?
Prevedo molta più consapevolezza partendo dalle sfilate che penso saranno sempre più unificate. Meno collezioni, meno spreco e un modo diverso di mostrarle. Il See Now Buy Now sarà forse sempre più presente. Penso che subentrerà la possibilità di vedere un capo e avere la possibilità di scegliere se acquistarlo realizzato con materiali diversi, più sostenibili. Vedo un modo più ecologico di vivere la moda.
Che progetti hai per il futuro?
Un’agenzia di management che rappresenti artisti afro discendenti e che pubblicizzi gli eventi e l’arte a tutto tondo. Stando sia da una parte che dall’altra ho notato che alcuni aspetti non venivano tenuti in considerazione quando invece ogni persona ha determinate, specifiche caratteristiche. Ho notato che per quanto riguarda le minoranze, si cadeva spesso nello stereotipo. Questa scelta non è per ghettizzare ma per sensibilizzare gradualmente il mondo dello spettacolo a certe esigenze che noi abbiamo e che spesso non vengono rispettare. Ad esempio il capello afro necessita di una particolare cura per essere trattato. Mi piacerebbe che un giorno tutto questo fosse parte integrante della cultura italiana nell’ambito dello spettacolo, che ci sia questa cura per ogni discendenza etnica ma ad oggi, per quella che è la mia esperienza, non è così.
Questa agenzia come l’hai collegata alla tua passione per la moda e che percorso ti ha fatto fare rispetto alle tue origini?
Penso che sia il centro di quello che penso ora. A forza di sperimentare e giocare con la moda e con la cura di tutto il corpo mi sono accorta che mi sentivo limitata nel giocare con i miei capelli perché in passato ho avuto il capello stirato. Ho aperto gli occhi sul fatto che mi stavo incastrando da sola in un’idea di bellezza che non mi rappresentava. Di pari passo ho provato a sperimentare con i capelli artificiali perché mi permettevano di avere un risultato diverso. Mi sono accorta che guardavo più all’esterno piuttosto che guardare come poter valorizzare la mia identità. Ho iniziato a lavorare quindi su me stessa e sono davvero rifiorita. Il mio desiderio è riscoprire le mie origini e aiutare anche gli altri a fare altrettanto. Molti miei amici sono emigrati in altre città europee e altri in Africa dicendo che qui in Italia per loro non c’era futuro. Questa cosa mi ha fatto molto soffrire perché io invece ho sperimentato che qui puoi costruire la tua strada senza rinnegare ciò che sei. Ho l’inclinazione a vedere gli aspetti positivi negli altri e a volerli valorizzare. Mi sono detta: perché farlo solo nel campo della moda? Lo posso fare anche nell’ambito dello spettacolo. Quindi curare i talenti, sostenerli in questo percorso interiore di riscoperta e valorizzazione di chi siamo davvero.
Quali sono i designer africani che ti stanno ispirando in questo periodo?
Una è Abiola Olusola. E’ di origine nigeriana, proprio come me. La sua collezione ha un sapore autentico e la voglia di raccontare le sue origini. Si respira l’artigianalità e la vivacità del mix dei tessuti con stampe printed in Nigeria. Una femminilità celata ma molto forte. Mi piacciono gli accostamenti e la semplicità dei tagli. L’altro è Mokodu Fall, un pittore di origine senegalese, un vulcano di idee. La sua ricerca verte sulla rappresentazione dell’essere umano. Dall’arte alla moda quindi il passo è breve. In particolare mi colpiscono le sue opere trasposte sui vestiti nella collezione Jardin de l’amor, un’esplosione di colori. Ogni pezzo rappresenta l’unicità nell’indossarlo e lo stile è inconfondibile. Moda e arte sono sempre più interconnesse e in Africa c’è molto fermento ora. Molti artisti trovano in Italia il luogo naturale per esprimersi e mettere radici, proprio come Mokodu.
Emmanuel
Ciao m’è piaciuto molto la tua intervista soprattutto il tuo sguardo verso l’africa. Questa crisi ci spinge a guardare altrove perché il mercato italiano diventerà sempre più selettiva. Quindi fai bene apposizionarti come fai.