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Foto di Vanessa Caliendo
Recycler. Tradotto, riciclatore. Un termine sempre più diffuso in materia di sostenibilità, una figura che sta attirando l’attenzione e che sempre si affianca al nostro immaginario nell’ottica di pensare a un’economia circolare ovvero a un sistema economico in cui la materia viene rigenerata garantendo zero rifiuti e l’ecosostenibilità di tutto il sistema. Ma quando si parla di artigianato, di arte non si tratta solo di recuperare per non buttare. Si tratta di infondere in una materia il proprio ingegno per portare alla luce le intrinseche potenzialità di ciò che hai di fronte. E’ far emergere la bellezza laddove nessuno pensava potesse esserci. E’ ridare vita, ridare speranza e quindi ridare opportunità. In una società in cui gli strappi sono sempre più all’ordine del giorno, in cui le divisioni vengono praticate con la leggerezza di un soffio, riscoprire il valore delle cose, mettersi in gioco e impegnarsi in ciò che si ha di fronte senza buttarlo ogni volta che non va, che sia legame oppure materia, penso sia una vera e propria rivoluzione per noi stessi e per la nostra casa, il Pianeta. Ho conosciuto un anno fa Greta Naselli, fondatrice del brand ecosostenibile Repunto e brillante giovane artigiana impegnata nel creare oggetti di straordinaria bellezza attraverso la filosofia appunto del recycling. Borse ampie e comode così come eleganti pochette realizzate con carte da parati, preziose ceste fatte a mano all’uncinetto con tessuti rigenerati, corsi di sartoria, di ricamo e tanto altro fino ad arrivare alla recente apertura di un delizioso Atelier in centro a Catania in Via Umberto I 266, luogo in cui il profumo della materia prima, della passione per il fatto a mano si respira nell’aria. A pochi giorni dall’apertura Greta mi ha raccontato del del suo impegno per realizzare una moda etica, una moda che rispetti l’ambiente e i diritti delle persone, e mi ha trasmesso con entusiasmo la sua passione nel lavorare la materia per creare oggetti unici e preziosi perché come lei stessa afferma “ogni scarto può diventare bellezza”.
Da dove nasce la tua passione per la moda e per il riciclo e come hai coniugato questi due aspetti?
Sono sempre state delle mie passioni fin da quando ero piccola. Ho questo ricordo meraviglioso di mia mamma che anziché darmi le forbici, pericolose per una bimba, mi dava la pinzatrice per creare i vestiti delle Barbie. Già all’epoca utilizzavo materiali di scarto. Recuperavo vecchie magliette o tessuti che trovavo in casa destinati ad essere buttati. Fin da piccolissima quindi ho sempre collegato il recupero alla creazione di moda. La mia famiglia mi ha sempre spronato a seguire questa mia passione e così all’Università ho studiato tecniche e culture della moda a Rimini, una laurea triennale, per poi frequentare l’Accademia Next Fashion School di Carla Secoli che ha sede sia a Bologna che a Milano, un’Accademia privata di modellistica. Il progetto Repunto come brand è nato quando, all’età di 20 anni, ho cercato di partecipare a un bando per giovani imprenditori emergenti. Dovendo dare un nome alla mia produzione che allora era di pouf realizzati con patchwork di stoffa recuperata da vecchi jeans, ho pensato a Recreativity. Non ho vinto il bando ma da lì ho iniziato la mia produzione. Dopo qualche anno ho voluto cambiare il nome del brand per renderlo più italiano. Re e basta ho pensato. Re come reinterpretazione esistenziale, come riciclo, come rinnovare la materia. Quindi Repunto.
Quindi non solo un brand ma anche una filosofia nonché un luogo in cui scoprire l’arte del Recycling. Cosa proponi all’interno del tuo negozio?
Repunto fa sia accessori, arredamento, abbigliamento, borse pronti da acquistare oppure su misura, sia realizzo laboratori e workshop dove insegno a fare quello che c’è nel negozio. Poi c’è la Recreativity Area una parte che ho deciso di allestire con materiali di recupero che chiunque può venire a perdere gratuitamente fino a un kg al giorno attraverso il tesseramento che costa 5 euro al mese. L’ho chiamata così in memoria del nome originario del brand. Si può trovare carte da parati e materiali di ogni genere. E’ un mix di realtà che ruotano intorno alla produzione artigianale e che sta affascinando molto le persone.
Da piccola per passione ma nel tempo quella dei materiali di recupero immagino sia stata una scelta che tu hai fatto con una profonda consapevolezza. Perché hai deciso di percorrere proprio questa strada? C’è stato un momento in cui hai sentito che dovevi continuare in questa direzione?
Sì, è avvenuto durante il periodo dell’Università. All’epoca non c’erano ancora corsi sulla moda sostenibile ma negli ultimi 15 anni tutto il mondo fashion è cambiato vertiginosamente. Siamo passati dalla moda stagionale alle grandi catene del fast fashion. Sette anni fa mentre studiavo ho avuto subito la sensazione che quello che stavo imparando che non era prettamente la mia passione. Quando all’epoca facevo già i pouf con materiali di recupero le persone a volte mi guardavano male e mi chiedevano perché non utilizzassi tessuti nuovi. E io mi chiedevo: “ma che cosa vuol dire nuovo?” “Perché abbiamo il concetto del bello perché è nuovo?”. E’ un’illusione pensare questo. Tutti gli artigiani sanno che la materia ha un valore. Quando il falegname lavora il legno e ne rimangono dei pezzi non li butta via ma li utilizzerà per creare un nuovo prodotto. Questa pratica del recupero per l’artigiano non è neanche riciclo ma è la normalità, è la capacità di saper riconoscere il valore del materiale e che quindi è possibile rinnovarlo, rigenerarlo. Quando poi ho iniziato a lavorare per un’azienda di moda è stato abbastanza traumatico. Mi sono resa conto della discrepanza tra la quello che stavo vivendo e la mia idea di moda.
Hai vissuto momenti difficili nel perseguire e proporre questo tua nuova visione?
Sì, i primi anni sono stati difficili infatti è stato in quel periodo che ho capito l’importanza di trovare un modo diverso per sensibilizzare le persone su questo tema. La storia di una produzione artigianale a livello emozionale è proprio su un altro piano comunicativo rispetto alla moda industriale. Mi sono resa conto che dovevo iniziare a fare corsi di sartoria, far capire veramente cos’è l’artigianato facendo mettere alla prova le persone stesse. Un grande problema di oggi è che si fa fatica a capire la differenza tra un prodotto artigianale e un prodotto industriale. Quello che ho deciso di seguire è stato un percorso lungo e difficile e lo è tutt’ora. Ho fatto questa follia di aprire un negozio a Catania dove la consapevolezza dei cambiamenti climatici e di una moda etica che non pensa solo all’ambiente ma anche alle persone, ai diritti dei lavoratori, non è così forte. Lo vivo sulla mia pelle tutti i giorni però sono fiduciosa. Negli anni ho visto che la maggior parte dei miei clienti è chi partecipa ai miei workshop perché comprendono i ritmi, i tempi, il valore che c’è dietro alla mia produzione. Alla fine vedono la differenza che c’è tra una borsa realizzata da loro e quelle che realizzo io.
E’ una forma educativa molto forte imparare tramite l’esperienza. Quando un concetto lo acquisisci in questo modo diventa poi parte di te. Che tipo di coinvolgimento stai riscontrando a Catania?
In questo periodo le persone prima di fare un acquisto ci pensano almeno venti volte. E le capisco benissimo visto il momento che stiamo vivendo. Quando qualcuno entra in negozio non presento i prodotti per cercare di venderli. Preferisco raccontare la filosofia di Repunto e quello che faccio. Questo sta piacendo, ho tanti riscontri positivi. Le persone rimangono sconvolte quando scoprono che la Recreativity Area è gratis. Poi ci sono anche quelle affermazioni che mi fanno sorridere. Molte signore che entrano e vedono quello che faccio dicono “Ai giorni nostri non era così. Adesso voi giovani dovete reinventarvi”. E io cerco di far capire che è da anni e anni che sto studiando, che faccio corsi di falegnameria, di ceramica, di lavorazione artigianale. Studio e approfondisco continuamente quindi in realtà non mi sto reinventando. Mi fanno sorridere.
Da dove trai ispirazione per le tue creazioni?
Direttamente dai tessuti stessi. Quando sei una recycler la produzione di moda è proprio l’opposto di quella della classica stilista. Io non disegno prima il concept. Io lo elaboro attraverso la creazione diretta. Quando devi partire dal materiale a seconda della dimensione ti rendi conto di cosa puoi realizzare. Quindi è sempre il materiale stesso a darmi l’ispirazione.
E i materiali di recupero dove li trovi?
Bisogna chiarire che quando si parla di “materiali di recupero” non si intendono per forza tessuti usati. Tramite i rappresentanti di tessuti recupero le cartelle colore di tappezzeria che altrimenti verrebbero buttate poiché create solo per mostrare ai clienti un campione. Quelli più belli sono spesso quelli più difficili da smaltire. A Bologna avevo come punto di riferimento l’associazione Re Mida mentre ora qui sto creando una mia filiera di recupero materiali. Ho già trovato un negozio storico che ha sposato la filosofia della Recreativity Area. Hanno un magazzino pieno di tessuti, materiali meravigliosi di cui riconoscono il valore. Ora sto cercando ci allargare la rete per creare un’economia circolare qui.
In che modo il tuo trasferimento a Catania ha influenzato le tue creazioni?
Sicuramente in modo positivo. E’ stato uno dei motivi per cui ho fatto questa scelta con grande felicità. Qui il clima, il cibo, il mare sempre vicino danno alla creatività la possibilità di sconfinare. In questo periodo Catania è qualcosa di meraviglioso. I profumi, i colori sono molto più intensi. Qui inoltre la tradizione artigianale è molto più viva rispetto che al Nord ed è rimasta radicata nella cultura. E’ tradizione che le signore vadano ancora dalla loro sarta di riferimento a cui portano il tessuto per farsi fare l’abito. Una signora ha fatto questo con me e sto anche io iniziando a entrare a far parte di questa rete artigianale. E poi ci sono anche molti ragazzi giovani che sanno lavorare con le mani e che conoscono il valore della produzione artigianale.
Hai avviato delle collaborazioni?
Ho una ragazza che mi sta dando una mano a sviluppare la linea d’abbigliamento sia da uomo che da donna che abbiamo deciso di suddividere in due linee. Una basic senza rifiniture cioè senza le particolarità della produzione sartoriale vera e propria e poi una prima linea sartoriale così possiamo spiegare la differenza dei due prodotti e il perché uno costa di meno e uno di più. Mi sono resa conto che tutti i grandi stilisti di moda sono partiti da questo: creare il loro know how coinvolgendo le sartine che prima cucivano a casa. Quindi non sto facendo nulla di rivoluzionario ma semplicemente creando una produzione com’è giusto che sia fatta.
La rivoluzione che stai portando è nel materiale che usi e nel tuo desiderio di creare una dimensione in cui ci sia spazio per tutti. Non c’è competizione ma nel rispetto della natura e delle persone c’è inclusione. Questo è rivoluzionario.
Quante volte mi sono sentita dire: “Perché nei tuoi corsi insegni come vengono fatte le tue borse? Perché riveli il segreto?”. Ma come! E’ proprio questa la cosa importante. Rivelare, non nascondere, condividere. Nel momento in cui lo fai dai consapevolezza alle persone. Come dicevamo prima quando spiego come fare una borsa e quando una persona vede che è diversa dalla mia ne capisce il valore. Questo concetto che abbiamo oggi di sostenibilità va superato. Dovremmo usare la parola anche rigenerativo. Non dobbiamo solo pensare in modo sostenibile quindi non impattare sulla natura ma dobbiamo anche pensare di immettere cambiamenti positivi nella natura e nel mondo. La vera rivoluzione è prendere questi materiali di scarto che sono frutto di questa era consumistica di sovrapproduzione che sta distruggendo il mondo e andarli a trasformare rigenerandoli apportando così qualcosa di costruttivo al mondo fatto di rapporti umani e di maggiore consapevolezza. Lo faccio io in quanto artigiana e dovrebbero farlo anche le industrie. Quando vendo un prodotto dico sempre che sono io la garanzia del mio prodotto: sarò sempre disponibile a ripararlo, a trasformalo se un domani la zip sarà rotta sarò disposta a cambiarla, se non ti piace più qualcosa sarò disposta a trasformarlo. Su you tube sto facendo qualche tutorial per spiegare come riciclare. In tanti mi scrivono e mi chiedono cosa possono fare con il materiale che hanno. Le persone stanno capendo l’importanza curativa del rigenerare sia per il bene del Pianeta sia per loro stesse.
Stanno aumentando tanto i brand di moda sostenibili ma c’è ancora molto da fare. Tu che cambiamento hai visto in questi anni?
La sostenibilità è ormai un tema sulla bocca di tutti nel modo giusto ma anche a volte nel modo sbagliato. C’è tanto green washing. La maggior parte delle aziende di moda convenzionale si sono rese conto di avere i magazzini pieni di merce e che è giunto il momento di cambiare direzione. Se però sei un’azienda con una filiera produttiva molto inquinante e vai a creare una linea sostenibile all’interno della tua gamma di prodotti per me è solo green washing, è dare il contentino alle persone. Questa è una tematica molto complicata, ci vuole molta più trasparenza per questo si parla di Fashion Revolution. Deve avvenire un cambiamento radicale. Non penso sia sbagliato esternalizzare la produzione, la globalizzazione c’è, sono stati tempi necessari all’evoluzione dell’essere umano. Quello che dobbiamo fare oggi è trovare nuove forme di produzioni che devono essere trasparenti. Chi lavora deve avere gli stessi diritti in tutte le parti del mondo. Un prodotto creato da un bambino e quindi lontano dai nostri occhi è inaccettabile. Produrre avendo un impatto positivo sul Pianeta rendendo il più trasparente possibile la filiera produttiva. Questo è ciò che dovrebbero fare le aziende oggi.
Se guardiamo le statistiche sulla tracciabilità sono davvero molto poche le aziende di moda che hanno una trasparenza al 100%. Molte ancora si affidano ad atelier dove i diritti delle persone non sono tutelati, dove avvengono violenze soprattutto sulle giovani donne, dove c’è sfruttamento negli orari di lavoro e dove il salario è davvero basso. Pensando a tutto questo come ti immagini il futuro della moda?
Con più regole, perché sono necessarie e un cambiamento radicale dal punto di vista della produzione e del consumo. Basta con la sovrapproduzione, dobbiamo trovare una nuova dimensione. Dovremmo proporre alle persone uno o due modelli e quello che piace farlo su misura. Basta con l’andare in un negozio e trovare sempre cose nuove di bassa qualità. Mi immagino che inizieremo a scegliere un capo che ci accompagni per tutta la vita. Dobbiamo quindi superare la moda stagionale che poi è già stata distrutta dal pronto moda e dal cambiamento climatico visto che le stagioni quasi ormai non esistono più. E’ sbagliato anche come concetto pensare che un oggetto sia cool solo per sei mesi e che poi diventerà démodé. Dobbiamo riapprezzare i prodotti. Tutto questo sta già avvenendo. Il ritorno al vintage è portatore di questa necessità. Perché lo adoriamo? Perché sappiamo che è fatto con materiale che non si trova più in negozio. Lo sappiamo e dobbiamo tornare a crederci.
Tu prima hai parlato di fare esperienza diretta. E’ l’unica via secondo te?
Sì è l’unico modo. Solo con l’esperienza possiamo attuare questa rivoluzione. Quando ho iniziato ad allargare la produzione dovevo fare foto e shooting e tutti mi dicevano “ma le foto le puoi fare anche tu con l’i phone”. Io ho deciso di andare a fare un corso di fotografia e di comprare una Reflex per poi capire che non sono una fotografa e che per fare determinate foto è necessario una professionista. Viviamo in un mondo che ci permette di raggiungere qualsiasi cosa ma poi rimaniamo in superficie. Invece dobbiamo studiare, dobbiamo sempre andare a fondo nelle cose per poi capire se fanno o non fanno per noi. Ma intanto capire il valore di quella cosa. Se vado a una mostra di fotografia ora riesco a cogliere meglio perché una foto è bella. Bisogna sempre mettersi in gioco.
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