Da dove nasce l’idea di creare Little Sartoria?
Durante una vacanza estiva mi sono innamorata della Puglia e ho deciso di acquistare casa lì. L’ho restaurata mettendoci tutta me stessa e ho continuato ad andarci per le vacanze. In quel periodo vivevo a New York da 25 anni. Ho lavorato per tantissime aziende di moda ma dagli anni 90 la città non era più la stessa, c’era qualcosa che probabilmente mi mancava. In più il mio lavoro non mi appagava più. Quante aziende dovrei ancora aggiungere al mio curriculum per sentirmi davvero soddisfatta di quello che faccio? Mi sono chiesta. Un pochino alla volta ho iniziato a passare sempre più tempo nella mia casa in Puglia fino a quando ho deciso di trasferirmi lì definitivamente. Da questo cambiamento è partito tutto il progetto. Ho trovato lì, in quel luogo, l’ispirazione. La mia passione era andare nei mercati dove recuperavo stoffe ricamate artigianalmente. Erano pezzi realizzati con grande cura anche in un anno di lavoro ed erano buttati uno sopra l’altro come se niente fosse, ad un prezzo molto basso. Per me è stata una necessità farli rivivere di nuovo. Mi venne quindi l’idea di metterli insieme e di realizzare dei vestiti e delle borse. E’ stato tutto molto spontaneo visto il mio percorso nell’abbigliamento.
Sei passata da aziende che producono milioni di capi a una realtà tua personale, di nicchia. Qual’è il valore aggiunto?
La soddisfazione che hai quando una persona compra qualcosa realizzato da te è diversa da quando tu contribuisci nel produrre qualcosa per una grande azienda. Questi capi sono creazioni che vengono fuori dalle mie mani. Prima non ho mai sentito l’appartenenza in quello che facevo ora sento proprio che esprimo una mia passione. Ho dei bellissimi riscontri e grandi soddisfazioni.
Il tuo è uno stile che valorizza, rivisitandola, una tradizione antica. L’artigianato locale va al cuore dell’essere umano, racconta una cultura. Emoziona sempre questo filo diretto tra l’animo e la materia che prende forma. Come vivi la ricerca di questi pezzi unici?
É la parte più bella. Quando mi capita di vederne uno che ha dei ricami e dei colori bellissimi, mi suscita un’emozione pazzesca. A volte hanno delle macchie e questo rappresenta un dover raggirare l’ostacolo. Diviene quindi una sfida maggiore, più entusiasmante. Ti prefiggi di riuscire a fare una cosa eliminando quel pezzo. Ogni volta quindi la sfida cambia.
Qual’è lo stile che contraddistingue i tuoi capi?
L’artigianato porta con sé qualità, gusto e sobrietà. Non lo possono fare tutti. Non basta stare lì e mettersi a fare dei vestiti devi avere un gusto affinato, devi conoscere tanti passaggi presenti nella moda. Nei miei vestiti si concentra sì la tradizione ma anche la modernità. C’è un equilibro tra un tessuto antico e uno contemporaneo. Ho una passione molto forte per l’abbigliamento etnico, messicano e questo si rispecchia nelle mie creazioni. Infatti molti vestiti hanno un design che ricorda molto gli stili, le tradizioni delle culture sud americane.
Tu che produci capi che sono molto sostenibili per l’ambiente cosa ne pensi della fast fashion?
Lavorare per le grandi aziende di moda a New York è stato un passaggio fondamentale. Se non avessi avuto quell’esperienza non avrei potuto fare quello che sto facendo adesso. Ho imparato a dare più valore alle cose e a come si producono. Ad oggi penso che se tante più persone si mettessero a fare abiti manualmente, se in tanti si risvegliassero a questa consapevolezza, all’importanza di creare piccole realtà, sarebbe fantastico. Quando ho iniziato a creare la mia linea è stato un pò come dare una risposta alternativa a H&M e Zara. Il fatto che esistano tantissimi capi d’abbigliamento usa e getta, aziende in cui ci sono numerose persone che lavorano tanto e vengono sfruttate, è un grande problema. Ricordo com’era il mondo della moda prima di questo cambiamento. Era tutto molto più onesto. La fast fashion ha rovinato ogni cosa, ha stravolto il mercato. E ci sono certe aziende che non si sono più riprese. Da una parte è vero che danno la possibilità di fare shopping anche a coloro che magari non potrebbero farlo ma penso che possa esserci un’altra via d’uscita, le conseguenze da pagare nella direzione presa sono troppo alte e non sostenibili. Il mio sogno sarebbe realizzare progetti di moda per dare lavoro a chi non ce l’ha. Coinvolgere donne immigrate che hanno voglia di imparare un mestiere. E’ una cosa che tengo nel cuore e spero un giorno di realizzare.
Se dovessi dare un consiglio a una giovane che vorrebbe aprire una sua attività cosa le diresti?
Non ci sono soluzioni speciali dipende tutto dall’idea, devi avere una tua identità e crearti la tua nicchia. Anche bella o brutta che sia l’idea se crei la tua nicchia avrai sempre qualcuno che ti seguirà e, a meno che tu non sia dotata di una creatività spiccata, penso che l’esperienza, la gavetta bisogna farla. A me è servita molto.
Adesso vivi a Milano. Quali sono i tuoi progetti?
Il negozio “Little S.” in zona Polo Sarpi dove ci saranno tutti i capi che creo insieme ad abiti messicani tradizionali ricamati, molto colorati, accessori e altre cose realizzate da piccole realtà come la mia. Ci saranno ad esempio delle t-shirt in cotone organico con le stampe realizzate da un’illustratrice di Parigi. Avrei dovuto aprire il 13 di marzo ma a causa del lock down si è bloccato tutto.
Stiamo attraversando un’emergenza mondiale che sta facendo venire a galla con ancora più forza tutti quegli aspetti della nostra società non più sostenibili per l’essere umano e per la natura. Come stai vivendo questo momento?
Sto cercando di credere ancora di più in quello che sto facendo e mi sto impegnando per trovare altri canali di vendita come aprire un e-commerce. Credo che la strada che ho deciso di prendere sia quella giusta perché penso sia necessario andare nella direzione del comprare meno e riutilizzare le cose che già esistono. Spero che questo momento collettivo di presa di coscienza ci porti a questo. Ho avuto dei momenti di paura ma cerco di tenermi impegnata, penso a nuove idee, non mi voglio soffermare troppo sulla difficoltà del momento. Ho già vissuto crisi profonde di vita ed economiche come quella mondiale del 2008. Ero a New York ed è stata molto dura ma alla fine se si persevera una via d’uscita si trova sempre.
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