Capi d’abbigliamento di autentica e raffinata qualità realizzati con materie prime biologiche. Melodiosa musica per il mio udito, spirito di ricerca e desiderio di celare realtà nascoste che con costanza e impegno vogliono invertire la rotta: dallo spreco, bassa qualità, sfruttamento nel mondo della moda al rispetto, cura, passione, tradizione, valore che tocchi non solo un aspetto ma tutta la filiera che porta alla realizzazione di ciò che indossiamo. Eticlò è un mondo affascinante, un brand che si fonda sull’utilizzo di tessuti fatti da pregiate e biologiche materie prime egiziane. Ma non solo. E’ un mondo in cui riscoprire l’artigianato italiano, la pura lana ricavata da gioiose e libere pecore, la piacevolezza di indossare capi che fanno bene alla pelle perché non la intossicano ma la coccolano, la proteggono, ridando luce a questa armonia ancestrale tra esseri viventi e natura. Ho incontrato Sara, Co-Founder di Eticlò, nel loro store in Via Clavature 22/E. Linee pulite, semplici ma ricercate, materiali naturali come il bambù, il lino, la lana d’allago, quegli stili che fanno tanto nord Europa e che affascinano per la pulizia, la meticolosità, la cura dei dettagli, la rigorosa assenza di sbavature che fa trasparire appieno cosa significhi biologico, organico, cosa significhi amare e rispettare il mondo e chi lo abita.
Come e dove nasce il vostro brand?
La mia famiglia è sempre stata legata al biologico però in ambito alimentare. Io avevo il desiderio di creare qualcosa di significativo sempre legato al biologico e mi interessava molto il tema del tessile. Nel 2017 ho iniziato a lavorare all’idea di Eticlò e nel mio percorso ho incontrato Desiree, Elia e Marzia, gli altri soci fondatori a cui è piaciuto subito il progetto. Il negozio abbiamo poi deciso di aprirlo a marzo 2018. Inizialmente volevamo raccogliere le proposte di abbigliamento biologico presenti sul mercato e coordinarle a un gusto contemporaneo ma durante la ricerca ci siamo resi conto che in questo settore c’era una grande scarsità dal punto di vista della ricercatezza del design. L’etico e il bio vengono sempre declinati in capi di abbigliamento molto minimali e semplici e ci siamo resi conto che non sono mai un’alternativa. E’ difficile che possano competere con altri brand molto più accattivanti. Abbiamo così deciso di produrre una nostra linea cercando di unire l’etica all’estetica. La nostra primissima collezione PE 2018 è iniziata con 12 capi in svariati colori. Poi man mano ne abbiamo inseriti di nuovi e ad oggi abbiamo un vasto assortimento. Inoltre nel nostro negozio sono presenti altri brand sostenibili provenienti da tutta Europa come Freitag, Funktionschnitt, Birkesnstock.
Qual’è l’etica di Eticlò?
Noi lavoriamo sulla base di questi principi: tessuto e tintura biologici, filiera sostenibile verificata e design versatile e a lungo temine che è importante tanto quanto la materia prima. “Organic Fabric and Timeless design” è il nostro concetto. I nostri capi sono sobri proprio affinché siano versatili e durevoli. Inoltre lavorare la materia prima biologica non è come lavorare quella tradizionale. Ci sono delle indicazioni legate ai colori e alla fantasia. Mentre gli altri brand iniziano a disegnare i tessuti e poi ricercano la materia prima noi facciamo il contrario. Guardiamo quello che offre la piazza e poi con gli ingredienti che abbiamo recuperato andiamo a creare quelle che sono le nostre collezioni per valorizzare la materia prima.
Che differenza c’è tra un capo tradizionale e uno 100% biologico?
Qualche settimana fa un’estetista che produce cosmetici bio e li utilizza per le sue clienti mi raccontava che negli ultimi 10-15 anni ha osservato che a quasi ogni ceretta che fa, le strisce una volta strappate, diventano blu-nere. Noi non ce ne accorgiamo ma abbiamo un deposito sulla nostra pelle derivato da quello che indossiamo. Il nostro brand utilizza materie prime con certificazione GOTS (Global Organic Textile Standard, ndr). Questo significa che sia nella materia prima sia nella filiera produttiva dei nostri tessuti sono stati rispettati degli standard dal punto di vista sociale e ambientale quindi negli ambienti di lavoro non c’è sfruttamento minorile, il lavoratore è pagato correttamente, la fabbrica che ha tinto non ha inquinato tutto il territorio. Abbiamo molti clienti che entrano in negozio perché sono allergici o sviluppano allergia a determinati tessuti e quindi hanno la necessità di indossare capi solo 100% bio. La t-shirt in puro cotone, il maglioncino in pura lana sono prodotti che hanno una qualità più elevata a quella a cui siamo abituati. Un maglione di lana pura per esempio tiene di più il caldo pur continuando a permettere la traspirazione della pelle. Sostenibilità equivale sempre a una più alta qualità.
Si alza la qualità e di pari passo si alzano i costi. La fast fashion ha invece invertito tutto questo inducendo il consumatore a pensare che più basso è il prezzo più grande è l’affare oscurandone i dettagli. Qual’è la corretta visione che dovremmo avere nel guardare i costi dei capi d’abbigliamento?
La tendenza ora è di spendere tanto sul cibo ma non sui vestiti. Una volta non c’era questa possibilità. Non esistevano alternative economiche. La generazione dai 35 anni in giù è cresciuta influenzata da questa realtà della fast fashion. Siamo cresciuti vedendo questo tipo di business con t-shirt che possono arrivare a costare 9,90 euro. Mentre i nostri genitori e nonni sono più equilibrati nel calcolare il valore di un capo d’abbigliamento. Si comprava una giacca, quella buona e ci si andava avanti per diversi anni. E’ una sfida parlare oggi a queste generazioni, trasmettere che un prezzo così basso equivale a salari bassi per chi lo produce, quindi a sfruttamento, equivale inoltre a scarse materie prime che non fanno bene alla pelle come ti accennavo prima e neppure all’ambiente perché il volume di inquinamento è maggiore. Ma attenzione. Il prezzo alto non assicura alta qualità e sostenibilità. Per questo sono importanti le certificazioni, guardare se un brand le ha.
Quanto è importante per te in questo periodo storico portare avanti un’etica sostenibile nell’ambito dell’abbigliamento?
Secondo noi infinitamente importante. Da un punto di vista ambientale e umano. Il consumatore sta iniziando a chiedersi che cosa ci sta dietro a quello che acquista e quello che indossa. C’è una grande attenzione all’acquisto nel food, abbiamo accettato la logica di sapere cosa si finanzia quando si compra una determinata cosa. Sul tessile l’attenzione è ancora sfuggente. Ce lo testimoniano i brand di fast fashion che stanno producendo delle linee sostenibili per rispondere a una domanda che cresce.
E’ possibile creare delle linee sostenibili per un brand che non lo è?
Dipende da cosa intendiamo per sostenibile. Non penso che i grandi brand si possano permettere di vendere un cotone bio che in realtà non lo è però occorre pensare che senso abbia usare il cotone bio e poi farlo cucire ai bambini quindi non rispettando tutta la filiera sostenibile. Se mi vendi una t shirt di cotone bio a 9,90 euro mi stai già dicendo che c’è qualcosa che non va. Il problema è che per noi è normale pensare che una maglietta costi così ma in realtà non lo è. La materia sì è stata selezionata ma nel resto della filiera c’è qualcosa che sfugge. Questi piccoli progetti all’interno di realtà così grandi per noi del settore appaiono più come operazioni di marketing. E anche se non dovessero funzionare a loro non graverebbe troppo visto il volume dei loro affari. Nel momento in cui guardiamo i prezzi con cui sono venduti e non riflettiamo sul perché hanno quel prezzo lì, c’è qualcosa che ci sfugge.
Secondo te dov’è che il consumatore si sente sollecitato a spendere di più per un capo sostenibile?
In realtà questo è un pò il limite di tutti i progetti sostenibili. Quando proponiamo il nostro progetto quasi tutti lo condividono e lo sposano. Nel momento in cui però si va a proporre un prezzo di vendita che non è così accessibile e a cui non siamo più abituati trovando altri capi apparentemente simili a un prezzo più basso, lì inizia la sfida. Se non sono pronto per quell’oggetto poi non lo compro. Questo è un pò l’ostacolo che stiamo riscontrando e che anche i nostri “simili” riscontrano. Pagare il giusto, filiera etica ha dei costi diversi. Essendo piccolini abbiamo dei costi più alti di produzione, gestione. E’ la sfida del momento e del futuro. Passare da “oh che bello il progetto” a “ok spendo di più”.
Secondo te ci sarà un ritorno ai valori etici e a una loro evoluzione?
Speriamo di sì. In realtà c’è. Qui in questo negozio vendiamo più a persone che si approcciano per questo tipo di ragione: cerco la qualità e trovo qualcosa in cui sto più confortevole. Questo è inizialmente l’approccio di chi segue questo tipo di prodotto. Chi si trova bene a indossare i nostri capi ne prende più pezzi di diversi colori. C’è una riscoperta della qualità sulla propria pelle a cui non siamo più abituati.
Ad oggi chi è il consumatore medio di Eticlò? Chi ha già sviluppato questo tipo di sensibilità e atteggiamento?
Il nostro progetto piace tantissimo ai turisti anglofoni. Sopratutto per le sue piccole dimensioni. Un anno fa una signora di Londra si è innamorata del fatto che noi fossimo qui a servire, proprio noi che abbiamo creato il progetto. Questa signora ci scrive ancora. Il concetto che il titolare sia in negozio a contatto con le persone, con i clienti, per me è basilare.
Come lo immagini il futuro del vostroprogetto?
Presenziare su altre piazze e rafforzare le proposte.
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