Il Gabon e l’Italia. Due culture che si incontrano, dialogano e vivono attraverso l’artigianato di Double Trouble Bologna, fondato da Margherita e Caterina Libouri, un brand etico dallo spirito cosmopolita, contemporaneo ma la cui essenza affonda nelle tradizioni storiche di queste due nazioni da sempre linfa vitale per la creatività di queste due splendide e giovani imprenditrici. La vita fiorisce, ricerca nuovi sentieri per esplorarli ed espanderli. I viaggi, le esperienze nel mondo della moda, i loro vissuti, l’amore per la cultura berbera così piena di forza evocativa e di folklore sono ciò che ha spinto queste due giovani a lanciarsi in un’impresa artigianale che mette in luce il valore del tempo, della durabilità di un accessorio, di un capo, dell’importanza di riutilizzare piuttosto che riciclare per mettere in moto la creatività e lasciare al Pianeta ciò che gli spetta per stare bene e farci stare bene. Un’arte quella della pelletteria e dell’abbigliamento artigianale che richiede tanta attenzione, dedizione e soprattutto passione.
Quando e come avete creato il brand Double Trouble Bologna?
Caterina: è nato nel 2016 da un’idea che io e mia sorella abbiamo avuto subito dopo la sua laurea in Fashion Design all’Accademia di Belle Arti. Per la tesi ha realizzato una linea di accessori e abbigliamento in pelle che è piaciuta talmente tanto da riuscire a venderne qualche pezzo. Abbiamo quindi pensato che poteva funzionare l’idea di farla diventare un qualcosa che fosse una vera e propria attività imprenditoriale. Una volta deciso ci siamo strutturate meglio creando un sito e promuovendoci sui social. All’inizio lavoravamo nel salotto di casa, poi abbiamo trovato un laboratorio in Via Santo Stefano fino a che, ad aprile 2021, siamo venute qui in Via Albari con l’intento di crescere, di avere uno spazio più grande con una vetrina e rendere l’accesso più facile ai clienti.
Margherita a cosa ti sei ispirata per realizzare questa prima linea?
Margherita: In quel periodo stavo approfondendo il concetto di upcycling quindi la differenza tra riuso e riciclaggio. Per cui quello che ho fatto è stato recuperare una serie di materiali, principalmente di pelle e di stoffa, rivolgendomi ad attività che stavano fallendo e che in alternativa avrebbero buttato quei tessuti. Sono nate così le prime borse e i primi pezzi di abbigliamento. Tutte le linee che creiamo sono di base influenzate dalla nostra discendenza italo gabonese per cui oltre al pellame utilizzo tessuti wox fatti di cotone cerato. L’ispirazione specifica per le borse invece è legata di più alla nostra passione per l’arte marocchina, algerina ed egiziana. Molte delle nostre creazioni infatti traggono ispirazione dalla cultura berbera nei decori e nelle forme.

Siete un punto di congiunzione, un ponte tra la cultura africana e quella italiana. Questa è davvero una grande ricchezza per le vostre creazioni.
Margherita: I primi ritagli che avevamo in casa non erano merletti della nonna ma tessuto wox che si regala in Africa per tradizione. E’ una stoffa di 6 metri che si chiama pagna e che si presenta come un tessuto arrotolato dove vengono stampate varie cose a seconda dell’occasione. Se per esempio tu ti sei appena sposata e domani vengo a cena da te porterei un wox in cui sono raffigurati anelli e caratteristiche particolari legate a quella cerimonia così come qui in Italia si regala un mazzo di fiori o una bottiglia di vino.
Caterina: Quando eravamo bambine in Gabon ci siamo fatte fare da un sarto tre abiti su misura. E’ stato pazzesco. Lì costa meno ed è normale così come lo era in passato da noi in Italia. Penso che quella sia stata la nostra prima collezione Double Trouble Bologna. In ogni cosa che facciamo c’è tanto delle nostre esperienze anche di viaggio che ci aprono sempre la mente a nuove conoscenze e idee. Poi abbiamo avuto modo anche di vivere all’estero. Margherita in Turchia dove ha fatto l’Erasmus e io a Parigi dove c’è una comunità afro molto forte.
E la vostra sensibilità all’upcycling da dove nasce?
Margherita: Ad oggi è un tema di cui si parla molto. Dieci anni fa invece era meno sentito. Per quanto ci riguarda è stata una necessità. Quando uno non ha tanti soldi si deve arrangiare con quello che ha come gli abiti usati della nonna e della mamma. Poi sono passata alla ricerca tra i fondi di produzione nei magazzini dove ci sono già tantissime cose e dove ti rendi conto che non ci sarebbe bisogno di mettere altro in produzione. Riesci a fare pezzi unici perché utilizzando quel tipo di materiale puoi ricavare al massimo 4 o 5 borse che saranno comunque ognuna una diversa dall’altra. Spesso ci chiedono quando tornerà un certo tipo di borsa. Non tornerà. Avere la consapevolezza che stai acquistando un pezzo unico che avrai solo tu nell’armadio secondo me è importante.

Quanto sentite forte il vostro impegno nell’ambito della sostenibilità sia a livello lavorativo che personale?
Caterina: Direi che al giorno d’oggi è un’attenzione costante che abbiamo. È in crescita e coinvolge ogni aspetto della vita. Parte qui dal lab con il riuso delle materie e per quanto mi riguarda arriva anche a casa. Anziché i saponi nella scatola di plastica uso quelli solidi per esempio. Ci sono sul mercato tante idee creative.
Margherita: Penso che siano piccoli gesti che ognuno nella propria quotidianità può attuare. Il nostro ambito è quello dell’abbigliamento. Quando una persona acquista consapevolmente una borsa che va dai 200 ai 350 euro compra un accessorio che sa durerà nel tempo. È sicuro di fare una scelta utile ed etica. Abbiamo messo in produzione, ad esempio, delle shopper di cotone che si possono utilizzare in tanti modi e che si possono lavare. Diventano così parte della tua quotidianità. Alle nostre clienti inoltre abbiamo sempre offerto il servizio di manutenzione della borsa che consiste nel trattarla ogni anno con le nostre creme affinché possa resistere e rimanere bella. Qui si ricollega sempre il concetto di riutilizzo.

Margherita potresti spiegare dal punto di vista tecnico la differenza tra riuso e riciclo?
Margherita: Per riciclare una cosa devi mettere in moto delle risorse. Se da una bottiglia di plastica, per esempio, vuoi ottenere un maglione di pail devi azionare delle macchine quindi c’è un consumo, un esubero. L’upcycling invece mira a riutilizzare quindi per esempio prendere un maglione e farne una borsetta. Non viene azionata nessuna macchina quindi non c’è la necessità di sfruttare altre materie.
Una cosa che mi ha colpito intervistando altre artigiane che si basano sull’upcycling è che non partono dal disegno del prodotto ma l’idea nasce dalla materia, toccandola si immaginano il modello. Tu fai così?
Margherita: Un progetto lo faccio sempre almeno per avere più chiarezza. Ad esempio, disegno cinque borse e poi in base a quello che trovo cerco di realizzare le varie idee. Utilizziamo molto la tecnica del patchwork che non vuol dire fare una borsa attraverso l’utilizzo di tante pelli diverse e piccole ma di ritagliare dei pezzi più grandi di pelle in striscioline che vengono poi incollate, cucite e su cui viene fatto una sorta di tappeto. Da lì si fa un fronte e un retro della borsa. Sono tecniche che si usano quando hai tantissimi scarti.
Cos’è che identifica lo stile berbero nelle vostre opere?
Margherita: Sull’ultima borsa che ho messo in produzione, la Selma Bag, molto apprezzata ma purtroppo terminata, ci sono dei timbri a caldo che rappresentano dei decori che la popolazione del nord Africa utilizza per i tatuaggi che sono poi gli stessi presenti davanti alle loro case spesso al posto del civico. È come dire lo stemma di famiglia. Sono gli stessi ornamenti che trovi anche nei tatuaggi sui volti o sulle mani delle donne berbere. Essendo musulmani non hanno modo di raffigurare l’essere umano come ad esempio abbiamo fatto noi nelle chiese con Gesù, Maria ecc.. Questo ti fa capire che c’è una ricerca costante di esprimere la propria creatività attraverso una forte carica espressiva.


Invece qual’è la storia dei tessuti wox così colorati e pieni di fantasie?
In realtà sono frutto del colonialismo. Le principali produzioni vengono dall’Olanda. Ormai sono secoli che ci sono quindi si sono radicati nella cultura africana ma in origine erano stoffe importate dall’Europa e destinate all’India. Piacquero così tanto che conquistarono un intero continente fino a divenirne il marchio distintivo. Fino a metà Ottocento quindi nella cultura africana non esisteva questa stoffa, vedevi solo costumi tribali. Ora dall’Africa ci piacerebbe importare altre ceste marocchine e altri materiali come il legno per farci piccole sculture. Ci piacerebbe trovare qualche artigiano con cui collaborare in modo etico. Inoltre l’ultima volta che siamo state in Marocco abbiamo scoperto una ceramica bellissima molto colorata che vorremmo importare qui.

Tu Caterina invece ti occupi più della parte web?
Caterina: è meno interessante e meno creativo ma è un supporto fondamentale per la visibilità. Il mio ruolo è trovare clienti, farci conoscere, partecipare a bandi, mandare avanti il nostro e-commerce. È una parte importante sia creare che costruire una rete intorno alla creazione. Con il tempo ci siamo rese conto che per vendere dobbiamo espanderci e rendere questo progetto sempre più produttivo.
Da giovanissime vi siete lanciate in una grande sfida. Che difficoltà avete incontrato in questi anni di attività?
Caterina e Margherita: la principale difficoltà è non avere fatto studi di economia. Il Business plan non te lo fa nessuno se tu non sei capace. Quindi è stato impegnativo imparare a sviluppare qualcosa che oltre ad essere divertente fosse anche remunerativo. La parte fiscale e legale è per noi la più complicata ma alla fine siamo riuscite a creare un dialogo comprensibile senza bisogno del traduttore anche con il commercialista.
Che progetti futuri avete?
Margherita: Quest’anno vorremmo dedicarci all’insegnamento e all’aumento della produzione. Con il primo bando di Incredibol speriamo di riuscire ad accedere a spazi con affitti ribassati o in comodato d’uso. Stiamo iniziando a fare dei corsi per insegnare a realizzare borse e portafogli quindi speriamo di espanderci. La nostra è un’attività che ha bisogno di spazio.
Avete avuto riconoscimenti dalla società in questi anni?
Caterina: Per la creazione del portachiavi con il tortellino in pelle abbiamo vinto a dicembre, nell’ambito del turismo, il Premio Barresi 2021 indetto dalla Città metropolitana di Bologna e dedicato alle imprese giovanili e sostenibili. Sono belle soddisfazioni. L’anno scorso ne abbiamo venduti 3.500. Quest’anno puntiamo ai 4.000.

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