Ho incontrato Francesca nella sua casa, colorata e accogliente, pochi giorni dopo il suo rientro da New Orleans. Entusiasta e al contempo commossa mi racconta di un luogo meraviglioso che le ha riservato sorprese ogni giorno. Attraverso le sue emozioni, i suoi ricordi, Francesca rievoca storie di vita, odori, sapori, colori, musiche che mai potrà scordare.

New Orleans, perché l’hai scelta come meta?
Lì è nato il jazz, la musica che suono. L’ho visitata per la prima volta nel 2016 con Paolo, con cui abbiamo creato nel 2015 la band Lovesick Duo. Il giorno prima di noi partiva anche un altro musicista di Conegliano, Alberto Visentin, con cui siamo legati da un’amicizia in comune e ci siamo ritrovati tutti là. New Orleans per me e Paolo è una città importante sia a livello musicale che sociale. Vive di musica ed è popolata storicamente da mille etnie diverse: francesi, americani, africani, italiani. Infatti lì si sono formati i creoli, una popolazione mista che poi ha creato tutta la musica tutt’ora diffusa lì. E’ stata una bella avventura, un tuffo nel passato che ha dato una grande ispirazione al nostro lavoro. Sono tornata a ottobre dell’anno scorso e ho risentito le stesse emozioni e sensazioni, come un ritorno a casa.
Che aria avete respirato tra i musicisti?
C’è un’atmosfera di solidarietà e zero pregiudizi. Cammini nel cuore della città, saluti tutti e se vuoi puoi suonare un pezzo insieme. C’è una continua possibilità di scambio. Abbiamo avuto l’occasione di suonare per strada e percepire molta accoglienza e unità. Inoltre sia la prima volta che l’ultima abbiamo organizzato delle cene insieme ad altri musicisti e suonato pezzi durante i loro concerti. Lì in quanto artista devi mettere da parte l’ego. La gente viene in questa città perché vuole condividere la musica, trasmettere e imparare. C’è molta semplicità nel fare le cose. Quando hai poco tiri fuori una creatività incredibile. Meno hai, più puoi dare.
Hai incontrato figure storiche della musica jazz?
Nel 2016 abbiamo conosciuto Robert Snow, un bassista e contrabbassista e suo padre Sidney Snow, musicista storico della scena di New Orleans che suonò addirittura con Elvis quando passò dalla città prima di diventare famoso. Sidney ha origini indiane pellerossa e italiane, infatti ogni tanto parlava in dialetto siciliano! Ci ha raccontato che suonava il basso, la
chitarra e sapeva cantare. Ora Sidney, oltre a esibirsi ogni weekend al locale “Gazebo” in centro a New Orleans, fa il liutaio. Ha recuperato parti di strumenti che poi ha assemblato:
contrabbasso, un violino, parti di chitarra degli anni 60. Ho anche incontrato e suonato con Andy J. Forest musicista storico della scena blues. Durante l’ultimo viaggio invece ho avuto la
fortuna di vivere per un mese assieme a un musicista di 69 anni, Vic Shepherd, e con lui ho suonato in tre posti storici di New Orleans tra cui quello più emozionante, la Queen Creole
Boat che è una barca dove si cena mentre fai il giro del Mississippi. Ho suonato lì pezzi storici, tutti della tradizione. E’ stata veramente una grande emozione. Vivevo con Vic nella parte più antica di New Orleans, Algeries, e per andare in centro ogni giorno prendevo il traghetto. Sentire questo forte legame con il fiume da cui è nato tutto è stato come essere parte della storia della musica jazz e blues.

Ad oggi come si presenta questa loro tradizione?
Continuano a conservare e a dare grande valore a questo genere di musica. La sera a Frenchment Street puoi sentire una band di ragazzi giovanissimi afroamericani spesso del quartiere di Tremè. Tre tromboni, tre sax, sousaphone e rullante; quando arriva questa band tutti smettono di suonare, tutto si blocca e si balla insieme. E mentre loro suonano, qualcuno cucina con barbecue. Ogni settimana poi c’è la famosa Second Line una parata che sembra un carnevale, con carri, musica e gente che balla e canta per strada.
Che altre particolarità ci sono nel quartiere francese?
C’è un mercatino tutte le sere con ragazze che fanno gioielli con le ossa di coccodrillo, scheletri di caproni, pelle. Si respira uno stile hippy punk e ci sono tanti artisti, anche disegnatori. Nella musica va tanto la meritocrazia. C’è una sorta di collaborazione tra le band così come tra le varie musiciste. Soprattutto ci sono tanti legami di cuore, veri, non solo per suonare assieme. Sono davvero una grande famiglia. La donna non canta solo ma suona anche e c’è talmente tanto lavoro che appena capiscono che tu puoi stare nel gruppo ti chiamano, settimanalmente.
E dal punto di vista culturale la donna come vive?
Nel quartiere francese di New Orleans è come se si fosse fermato il tempo. Le donne sono sopratutto cameriere oppure proprietarie di pub. C’è tanta criminalità quindi chi gestisce un locale deve essere sempre allerta. Le donne sono toste, non si fanno passare nulla sotto il naso. Nel centro della città succede di tutto. Pensa che in una settimana possono accadere fino a 37 omicidi. Di base c’è povertà e questo si vede anche per le strade da come si vestono. Down Town invece è più moderna.
C’è una storia che ti ha particolarmente colpita?
Sì, quella di una musicista che fa la cantante gospel e che ci ha ospitati per alcuni giorni. Ha 5 bambini che molto spesso seguono il programma scolastico on line perché c’è tanto bullismo nella scuole e lei preferisce non mandarli. Mi sono chiesta “li protegge da cosa?” nel mondo reale poi ci dovranno andare. Frequentano solo la scuola di musica con bambini afro come loro. Lei come cantante ha orari assurdi, lavora di notte e dorme di giorno. I figli così non possono essere educati come regolarmente da noi nelle scuole. Per me è stato molto difficile vivere in questo contesto familiare. A volte mi sembrava di essere in una dimensione allo stato brado, primitivo, con urla e cibo in giro senza nessuna regola. Altre volte invece mi sembrava che tutto questo fosse perfettamente organizzato, come se per loro fosse la normalità.
Quali sono i loro piatti tipici?
Hanno un caffè molto amaro e speziato. Mangiano spesso i gamberi bolliti con le pannocchie con sopra delle spezie che fanno loro. E’ come mettere il peperoncino qui da noi. In ogni cosa, anche nel cibo, è presente questa antica tradizione che viene dall’incrocio tra le varie culture. Come la Jambalaya, un piatto creolo della Louisiana di origine provenzale con influenze africane, spagnole e amerindie tradizionalmente fatta con carne e verdure e completata con l’aggiunta di brodo e riso.

Cosa ti ha lasciato più di tutto questo viaggio?
A New Orleans non c’è mai silenzio e la gente sorride sempre. In Italia le persone tendono ad essere chiuse pur avendo tutto. Là invece ci sono tantissime cose che non vanno ma c’è sempre uno slancio di vita. New Orleans è una realtà a sé, magica. Tutti ti salutano, ti sorridono, ti chiedono come stai. Ognuno nella sua quotidianità può ispirarsi a questo cercando di essere più solare, più aperto agli altri. Dieci giorni prima ero stata in Giappone dove si preferisce stare distanti. A New Orleans invece si urla e si sta appiccicati, è normale il contatto fisico, è normale l’abbraccio. Ho visitato due luoghi agli antipodi. Con tutte le loro contraddizioni mi hanno entrambi affascinata.
In questi anni c’è mai stata una figura che ti ha guidata nella tua evoluzione come artista?
Il maestro a cui mi sono affidata per studiare in questi anni è Daisaku Ikeda, Presidente della Soka Gakkai Internazionale, l’organizzazione buddista di cui faccio parte. Attraverso i suoi incoraggiamenti mi ha sempre aiutato nei momenti di sconforto quando pensavo di non farcela, l’ho sempre sentito di fianco a me, pronto a sostenermi. A livello musicale ci sono state figure che mi hanno ispirata. Recentemente Joe Sanders un contrabbassista nell’ambito della musica jazz mentre per quanto riguarda il rock’n roll e country il contrabbassista Jimmy Sutton.
Che libro stai leggendo in questo momento?
Storie di vita, Jazz e Buddismo. E’ un dialogo tra Daisaku Ikeda, Herbie Hancock e Wayne Shorter. Parlano del loro desiderio di trasmettere lo spirito creativo e di quanto sia importante la crescita interiore dell’artista. C’è una frase di Daisaku Ikeda che mi è piaciuta molto: “Per quanto riguarda le differenze di personalità, Toda spesso diceva: “Persino la persona migliore ha dei difetti, così come la persona più difficile ha dei punti di forza. Se aiutiamo ognuno a rafforzare i propri punti di forza, tutti quanti potranno diventare protagonisti del nostro movimento”. In termini musicali potremmo dire che un’esibizione commovente è possibile quando ogni musicista perfeziona non solo il proprio sound ma aiuta gli altri musicisti a fare lo stesso”. (Storie di vita, Jazz e Buddismo, Esperia Edizioni, pagina 80)

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