Sulla superficie del mare il caldo abbraccio del sole da vita a una scintillante distesa di luce. Tutta in movimento, fluida e fresca, è una danza quella a cui assisto, tra il vento e l’acqua. Cosa ci sarà oltre questa meraviglia, oltre queste sfumature di azzurro e blu affascinanti al contempo celanti tesori misteriosi? Sappiamo che il mondo marino ha preso vita nel nostro immaginario collettivo, attraverso l’influenza di svariati prodotti culturali quali documentari, mostre e film d’animazione. Chi potrà mai dimenticare l’orchestra con tanto di balletto diretta dal granchio Sebastian nella Sirenetta al ritmo di In fondo al mar così come l’avventuroso viaggio intrapreso dal piccolo pesce pagliaccio Nemo. Una bellezza davvero sconfinata che ben rappresenta la realtà di questo mondo parallelo che non tutti hanno la fortuna di poter vedere e vivere quotidianamente ma che esiste e rappresenta una risorsa indispensabile per la sopravvivenza nostra e di tutto l’ecosistema terrestre. In Sardegna di fronte a questa superficie luccicante, su un motoscafo in mezzo al mare, Roberta Bardi, giovane biologa marina, ci ha accompagnato alla scoperta di questo straordinario mondo, del nostro prezioso Pianeta Blu, di come possiamo rispettarlo, proteggerlo e valorizzarlo.
Da dove nasce il sogno di diventare una biologa marina?
Quand’ero piccola mi è sempre piaciuto il mare e per questo dicevo sempre che da grande avrei fatto il pirata! Non quelli che fanno cose brutte ovviamente ma un pirata che va all’avventura, solca i mari, esplora. Ho poi sempre avuto un amore infinito per gli animali. Una volta mi misi a piangere perché vidi uccidere un tafano sul finestrino di un pullman solo perché disturbava. In coerenza con queste passioni all’università ho scelto di fare scienze naturali dove ho potuto studiare la natura a 360 gradi. Non solo animali e piante ma anche minerali, paleontologia, glaciologia, gemmologia, astrologia… è stato un percorso impegnativo ma bellissimo. Poi per la specializzazione ho dovuto incanalare il pirata che era in me in qualcosa di pratico e ho scelto biologia marina. La mia idea era di farlo all’estero in lingua inglese ma poi ho trovato Marine Sciences, un Master internazionale in Scienze Marine. In totale sono stata solo sei mesi in facoltà, per il resto ho viaggiato tra l’Ecuador e le Maldive.
Quando hai iniziato a conoscerlo meglio qual è l’aspetto che più ti ha affascinata del mare?
La prima volta che ho messo la testa sott’acqua alle Maldive mi sono resa conto dell’incredibile mondo che esiste sotto la superficie, un altro mondo rispetto a quello che tutti e tutte noi conosciamo. Nei fondali se ti soffermi anche solo in un quadratino di un centimetro per un centimetro trovi vita. Viviamo in una società dove tutto corre veloce, dove siamo sempre di fretta e non ci godiamo il momento presente. Io ho avuto la fortuna di essere lì e lavorare con le persone affinché potessero scoprire questo meraviglioso mondo per viverlo in tranquillità, goderselo in pace, senza averne paura. Con questa predisposizione il mondo marino ti offre spunti infiniti.

Che tipo di ricerca hai svolto alle Maldive?
Ero andata per stare tre mesi e svolgere il mio progetto di tesi sui virus nelle tartarughe marine ma dopo un mese e mezzo non arrivavano i permessi per poter iniziare il progetto. Ero molto abbattuta, quando una mattina il manager dell’isola mi chiamò per dirmi che dovevo raggiungerlo subito sulla la lingua di sabbia. Impaurita da quel gesto inaspettato lo raggiunsi immediatamente. Con mia sorpresa vidi davanti ai miei occhi impronte lasciate poche ore prima da una mamma tartaruga, e qualche metro più in là… ecco un nido! L’universo l’aveva mandata proprio lì, su quell’isolotto in cui ero io, proprio nel momento di disperazione più totale. Sono quindi rimasta altri sei mesi per poter approfondire il mio lavoro e quindi identificare le tartarughe che vivono intoro all’isola e rilevare quotidianamente la temperatura del nido tramite dei sensori poiché è essa a determinare il sesso degli animali. In questo senso il cambiamento climatico potrebbe arrecare un danno non indifferente alla specie generando più femmine che maschi. Poi è successo tanto altro a livello personale. La tartaruga depositando le uova quel mattino, non solo mi ha dato la possibilità di scrivere una tesi magistrale di cui vado veramente fiera, ma ha dato una svolta profonda alla mia vita. Su quel “piccolo granello di sabbia” in mezzo all’Oceano Indiano ho conosciuto il mio attuale compagno. Dalla situazione più cupa può emergere qualcosa di incredibilmente bello. La famosa luce infondo al tunnel, esiste davvero, anche se a volte fatichiamo a metterla a fuoco subito.

Come possiamo avvicinarci a un mondo che non vediamo quindi risvegliare in noi questa sensibilità e consapevolezza?
Sicuramente provare. Andare con la maschera sott’acqua e vedere quello che c’è. Il windsurf, la barca a vela, il kajak sono sport che ti aiutano a comprendere meglio questa dimensione marina così come anche semplicemente mettersi in mezzo al mare e sentire il rumore delle onde, già questo ti avvicina al mondo che non vedi. Poi l’ideale sarebbe provare un’immersione totale, provare a nuotare dentro a questo mondo. Capisco che non tutti si butterebbero a fare sub perché è impegnativo anche dal punto di vista psicologico ma si può provare lo snorkeling. Io ho accompagnato anche persone con disabilità o chi non sapeva nuotare quindi se ci sono riusciti loro credo che chiunque possa farcela.
Per chi vive in città ma anche per chi non sa come funziona l’ecosistema terrestre, è difficile comprendere che la nostra vita dipende dagli Oceani poiché in grado di assorbire anidride carbonica e di immettere ossigeno nell’aria. In che modo possiamo fare la differenza e contribuire al loro benessere qui dove siamo?
Io sono di Milano e ho sempre vissuto in città a parte i periodi all’estero per studio o come sto facendo ora qui in Sardegna per la stagione estiva. Prendendomi in giro dico: cosa fai la biologa che a Milano non c’è il mare? Verissimo, però c’è la possibilità di portare in una grande città, dove c’è una grande affluenza di gente, delle storie del mare, farle conoscere. L’anno scorso ho lavorato a una mostra sul mondo marino e le persone che l’hanno visitata sono state tantissime tra cui molti bambini e bambine. Si intitolava “Illusi Ocean” e in particolare c’era una stanza, la mia preferita, realizzata interamente da artigiani di Burano che avevano ricreato meduse in vetro, tutte illuminate. Tra esse, sempre illuminati, erano stati inseriti dei sacchetti e bottiglie di plastica. La maggior parte delle persone che la visitava non se ne accorgeva, non riusciva a vedere questo dettaglio. Quindi li invitavo a rientrare e a osservare con più attenzione. A quel punto si rendevano conto dei sacchetti e io li facevo riflettere provando a immedesimarsi con una tartaruga affamata, desiderosa di avventarsi subito su di una medusa e quindi in una condizione di grande difficoltà nel riconoscere la giusta preda considerando che quando un oggetto rimane nel mare viene avvolto da microbi che danno un odore allettante per gli animali marini. È stata una mostra molto importante e formativa. Anche in città quindi abbiamo portato un pezzo di mare.


Quant’è critica ad oggi la situazione degli Oceani e dei mari?
Credo che la mia esperienza alle Maldive possa essere utilizzata come paragone perché quello che sta avvenendo lì alla biodiversità, che oltretutto è molto ricca e preziosa dal punto di vista marino, è quello che sta accadendo in tutto il mondo. I coralli sono una cartina di tornasole indicatrice della salute dei mari e degli Oceani poiché sono ipersensibili al cambiamento di temperatura. Quando c’è uno sbalzo termico infatti sbiancano e, se la temperatura non decresce, purtroppo muoiono. Si sgretolano, si appiattisce il reef e tutti gli animali che ci vivevano se ne vanno. È un effetto a catena dannoso che trasforma un paradiso marino in sabbia. Alle Maldive abbiamo iniziato un progetto di monitoraggio di questo sbiancamento essendo in arrivo El Niño una perturbazione che provoca l’innalzamento delle temperature. Sfortunatamente ancora prima dell’ipotetico inizio della stagione calda, già alcuni coralli stavano sbiancando. Un effetto locale di un fenomeno globale che ho visto con i miei occhi durante la mia permanenza e per il quale ho lottato tanto anche attraverso progetti di monitoraggio e conservazione. Le persone potevano adottare il loro piccolo corallo e “piantarlo” nel reef per dargli una seconda opportunità. Un gesto che sta facendo la differenza per l’isola in cui mi trovavo.

Lo sbiancamento dei coralli oltre all’impoverimento della biodiversità cosa indica e cosa comporta dal punto di vista naturale?
Il corallo è un animale, praticamente un condomino di minuscoli polipi che non sono i polpi, in italiano spesso vengono confusi, e vive in simbiosi con un’alga che è quella che gli dà il colore e gli fornisce il 90% del suo fabbisogno nutritivo mentre il 10% deriva da un’attività propria. Le alghe, infatti, in presenza di luce convertono i sali minerali (azoto e fosforo) in materia organica attraverso il processo di fotosintesi. Quindi consumano anidride carbonica e rilasciano ossigeno fondamentale per il benessere degli Oceani e anche il nostro. Quando il corallo è sotto stress per via di agenti chimici inquinanti, innalzamento delle temperature e altro spesso a causa dell’intervento umano, inizia a percepire l’alga come un nemico, una minaccia e quindi la butta fuori. Ma senza l’alga non c’è più vita e il corallo diviene bianco. Ci sono anche processi naturali che li uccidono, è un ciclo della vita che va avanti per millenni e se ci pensi tutte le Maldive sono formate da sabbia corallina, ma il problema risiede nella velocità e vastità con cui questo sta avvenendo. A causa della nostra mano ora sta avvenendo una distruzione di massa.
Cosa possiamo fare per fermare tutto questo?
Ci sono moltissimi punti di vista che possiamo analizzare ma parlando di azioni che si possono compiere nel quotidiano, che siano quindi accessibili, perché non tutti riescono a prendere decisioni radicali e lo capisco, il primo aspetto da curare è il cibo. È importante preferire prodotti locali se non addirittura a km 0. Spesso il cibo proviene dall’altra parte del mondo viene trasportato su navi cargo che producono un inquinamento pazzesco, non solo dovuto ai gas di scarico ma anche all’inquinamento acustico. Non ne sentiamo parlare spesso ma c’è. Avendo l’acqua una densità maggiore rispetto all’aria, questo la rende un mezzo super efficiente per la comunicazione e il passaggio di frequenze. Le barche hanno una frequenza molto bassa e quindi può percorrere lunghe distanze fino ad arrecare un profondo danno agli animali che abitano gli Oceani soprattutto ai cetacei che basano la loro vita sulla comunicazione acustica. Queste frequenze possono ucciderli, renderli sordi, ferirli. Frequenze che noi non percepiamo, ma che sono lì, in fondo al mare.
Oltre a curare questo aspetto legato all’alimentazione cosa possiamo fare questa estate, quando ci riverseremo sulle spiagge, per rispettare e proteggere i mari?
Sicuramente a costo di sembrare ripetitiva bisogna partire dalle piccole accortezze come, ad esempio, procurarsi un sacchettino dove mettere la spazzatura e non lasciarla sulla spiaggia dove il vento la porterà in mare per poi degradarsi in anni e portare inquinamento. Si apre poi il tema delle microplastiche. Ancora non ne abbiamo vissuto gli effetti ma abbiamo talmente tanta plastica negli Oceani da non riuscire più a definire quanta, per non parlare poi della microplastica che è 50 volte tanto. Si tratta di frammentini inferiori ai 5mm. Possono essere ingeriti facilmente da qualsiasi pesce che poi finisce nel tuo piatto. Lo sentiamo di continuo ma non facciamo nulla per smettere. Poi ci sono le nano-plastiche che sono ancora più piccole delle nostre cellule. Pervaderanno ogni cosa. Immaginiamoci di ingerirle e che queste un giorno entrino nelle nostre cellule, quale danno potrebbero provocare all’organismo? Scientificamente non è impossibile che si fermino nei polmoni o alterino la struttura del DNA. Insomma, sono cose che possiamo prevedere ma non ci fermiamo perché ci sembrano ancora uno scenario lontano, ma non lo è. La bottiglia che butti in spiaggia oggi, un domani potrebbe averla in pezzettini nello stomaco tuo figlio. Ad esempio, le formine che usano i bambini e le bambine per giocare a volte vengono sotterrate e rimangono lì per anni così come capita che appena una formina è un pochino danneggiata i genitori ne comprino una nuova. È importante stare attenti a queste cose. Avere cura degli oggetti che abbiamo e farli durare il più possibile. Dovremmo smettere di produrre plastica e usare quella che già abbiamo. Si stima che nel 2050 ci sarà più plastica che pesci. La proporzione è di cinque bottiglie a uno.

C’è ormai un nuovo intero continente fatto di plastica così come tanti luoghi nel mondo pieni di questo materiale. È meraviglioso vedere come alcune culture la stiano riutilizzando per fini artistici come, ad esempio, in Africa che la usano per creare sculture riuscendo anche a coinvolgere il tema dell’empowerment delle donne. Quindi dare risposte creative e concrete, mantenere vivo uno sguardo che trasforma tutto in un valore e al contempo contrasti ciò che danneggia noi e il Pianeta. Tu se avessi carta bianca, se potessi decidere le sorti del futuro rispetto al problema della plastica, cosa faresti?
A livello globale approfondirei alcuni studi che stanno facendo su dei batteri in grado di degradare la plastica in poco tempo che a confronto dei secoli che ci metterebbe in ambiente e delle terribili conseguenze, sarebbe già un grande passo in avanti. Se si potesse ingrandire questo progetto sarebbe meraviglioso. A livello locale invece mi piacerebbe entrare nelle scuole e andare con i bambini e le bambine sul campo, far conoscere loro da vicino questa realtà che dobbiamo trasformare.
Tu che sei una giovane donna che speranze hai per il futuro?
Ho sempre pensato positivo e sempre lo farò. Anche per questo forse l’universo mi ha sempre sostenuta. Forse è brutto da dire ma la generazione che ha vissuto il boom degli anni 80, a mio parere, è la generazione che ha inconsapevolmente sprecato di più avendo accolto la plastica come un materiale favoloso e utilizzandolo senza pensare a che conseguenze potesse avere. Vedo che nelle nuove generazioni c’è più consapevolezza, più capacità di riflessione sull’utilizzo di ciò che hanno, tendono a non sprecare e a fare acquisti mirati. E i bambini e le bambine sono ancora meglio. Credo saranno coloro che ci salveranno perché stanno crescendo vedendo già le conseguenze delle azioni che abbiamo posto e ci sosterranno quando saremo noi giovani ad avere l’età per governare e a prendere decisioni avendo a cuore il nostro Pianeta.

Sono fiducioso nei giovani e spero che l’intervista con Roberta venga letta e condivisa dalla maggior parte di persone. Grande Roberta, complimenti!
Grazie Marzio per il tuo commento! Condividiamo il più possibile sì. Dialogare su questi temi è davvero importante.