Un sorriso disarmante e una vivacità da far vibrare le corde più sottili del cuore. Lara mi accoglie così durante una mostra. La conosco e mi conquista subito per la sua semplicità e calda accoglienza. Tra illustrazioni botaniche, immagini femminili , farfalle primitive, stampe senza tempo, mi ha raccontato di come si è evoluta e si sta evolvendo la sua arte.

Come ti sei avvicinata all’arte?
Ho frequentato il Liceo Artistico di Pescara e il DAMS Cinema all’Università di Bologna ma ho avuto professori fuori dagli schemi fin dalle medie dove le lezioni di italiano e matematica venivano spesso sostituite con rassegne di cinema d’autore. I film erano incentrati sui temi cari all’adolescenza come il rapporto con i genitori e la sessualità. Così mi sono innamorata
del cinema maturando la mia identità di piccola donna. Alle superiori ho avuto professori di forte impronta rivoluzionaria come Dino Colalongo, che ci ha nutriti con Bruno Munari, e
Vladimiro De Sanctis, professore comunista che amava l’architettura e ci ha trasmesso l’importanza della progettazione e del disegno dal vero, portandoci in giro per la città a
disegnare palazzi e a fare rilievi architettonici. Poi c’è stato il teatro. Lì ho tirato fuori tutta la possibilità di interpretare ruoli differenti e immaginarmi diversa: nel teatro puoi essere una
persona molto brutta o molto bella, che soffre molto, vecchia, giovane, uomo, donna e tanto altro.
Come hai scoperto la tua identità di artista?
La mia ricerca è piena di rivoli, parto da una necessità. Me ne sto rendendo conto adesso che sto maturando come persona. Creare immagini è una componente importante della mia esistenza. Ora sta diventando anche un aspetto lavorativo ma continua ad essere qualcosa legato di più ad una necessità, come mangiare, che a una professionalizzazione. Jan Svankmajer, uno degli ultimi surrealisti e tra i miei registi preferiti, nel suo famoso decalogo per girare un film dice che “la specializzazione professionale è l’antitesi della poesia”. Tutto
quello che di più vero hai come artista è quello che conservi come relitto d’infanzia ed è lì che devi andare ad attingere quando fai un’opera d’arte. Io vivo questo mondo qui. Dove faccio delle cose che recupero da quello che ero.
Se dovessi partire da una ricerca artistica?
Partirei dal collage, un linguaggio che scompone le immagini che provengono dalla realtà per creare qualcosa di nuovo e che riguarda gli archetipi, l’inconscio e i mondi immaginari. Ho
iniziato durante gli anni dell’università grazie allo stimolo di un amico artista, Giuseppe de Mattia, con cui vivevo in Via Castiglione. Poi ho trovato ispirazione dal cinema di animazione di Gianluigi Toccafondo. Grazie anche a loro ho iniziato a capire che potevo non solo disegnare ma anche usare la carta e manipolare le immagini. E l’ho fatto a modo mio
lavorando a una ricerca artistica che poteva riguardarmi. Le figure di allora erano sproporzionate e legate a quelle femminili. Partivo dai ritagli che trovavo: volti, occhi e mani che poi sono diventati il segno dei miei primi collage. L’amore per la stampa invece è arrivato grazie all’incontro con Valentina Monari con la quale condivido spazi di lavoro e progettualità. La stampa è un’amore giovane che vivo con una forte necessità di sperimentazione e gioia.
Che cos’è quindi che predomina nelle tue creazioni?
La carta è sempre padrona, così come le forbici, strumento che trovo affascinante. Ritagliare è compiere un gesto definitivo, non puoi mai tornare indietro e al tempo stesso è un gesto con
cui puoi creare forme inaspettate. Inoltre uso il filo, la colla e adesso è arrivata anche la stoffa. Sono strumenti che si muovono in maniera diversa dal puro disegno.

http://www.checkpointcharly.it
La tua arte ti permette di avere un guadagno economico?
Nel mio caso sono molto fortunata perché ho un compagno che mi sostiene nella nostra vita quotidiana, mi da tanta fiducia e mi permette di procedere verso la realizzazione di una professione che sia veramente aderente al mio essere. Oggi conduco laboratori di stampa e collage e do vita a progetti artistici pensati per un pubblico alla ricerca di originalità, ma sono
sempre in evoluzione, non so dove sto andando di preciso, ma questo è anche il bello.
Piccola parentesi. Che cos’è per te l’amore?
Non ho una risposta. Mi ci vorrà un pò per capirlo. Perché l’amore è tante cose. Sicuramente la relazione con mio marito Giorgio non è solo amore ma qualcosa di più. L’amore c’è ed è
la base ma ci sono tantissime altre cose. L’amore è qualcosa che ha a che fare con tutti gli esseri umani. Non è solo un rapporto a due, è un modo di pensare. Come individui ci pensiamo unici, soli, individualisti, la realtà sociale ci porta a forzare tutto questo. Però l’amore ha a che fare con l’idea che ci sei tu ma che non sei da solo. L’essere umano non sta in una campana ma in contatto con altre persone. L’amore che puoi costruire con una persona, che puoi avere verso una persona, lo puoi avere per tante altre. E’ amore quello che ho con Giorgio, con Valentina, con mia sorella e mio fratello e anche quello che posso avere con te. Nel momento in cui noi ci conosciamo come esseri umani e proviamo delle emozioni. E’ una forma di amore.
C’è una figura a cui ti ispiri? Un maestro?
Le artiste che più mi appassionano sono Maya Deren e Niki de Saint Phalle. La Deren è stata una delle registe più forti del New American Cinema. E’ stata una guida per molti registi sperimentali di quell’epoca. La Saint Phalle invece l’ho scoperta visitando il Giardino dei Tarocchi a Capalbio in Toscana dove ho conosciuto il suo titanico progetto di vita, un giardino
popolato da grandissime architetture che riproducono gli arcani dei tarocchi. Per realizzare il giardino Niki ha avuto bisogno di una vasta rete di collaboratori i cui nomi sono incisi all’interno delle architetture, come a dire che nulla di grande può essere fatto in completa solitudine. nikidesaintphalle.com
A che progetti stai lavorando?
Da alcuni anni mi occupo insieme ad un gruppo eterogeneo di artisti del laboratorio artistico condiviso Checkpoint Charly, in un quartiere meticcio come la Bolognina. Oggi posso spaziare tra le possibilità che nascono dalla mia ricerca più intima per dare vita a progetti personali e interfacciarmi con una progettualità condivisa nel Charly, legata all’arte pubblica e spesso alla
possibilità di trasmettere dei saperi, attraverso la conduzione di laboratori. Un fare arte che ti avvicina molto alle persone. La cosa più interessante di essere dentro il Charly è avere una comunità di riferimento, la possibilità di relazionarti con persone che capiscono i tuoi bisogni e vivono le tue stesse difficoltà. Avere un progetto condiviso ti porta a pensare a progetti più
ampi, dove la bellezza sta nella sinergia e nello scambio. Al Charly posso dare vita a progetti che sarebbe impossibile fare da sola.



Raccontami delle farfalle di carta.
E’ un progetto nato dalla scoperta di avere una malattia della vista, il glaucoma. Il ritaglio mi ha aiutata a trovare una soluzione. Avevo voglia di fare sculture con la carta e questo gesto è stato terapeutico. L’arte ti porta a trasformare quello che può essere un fattore negativo in qualcosa di molto gioioso. Finché non sbatti la faccia su qualcosa che ti traumatizza non ti rendi conto del valore del tempo e di quello che puoi fare. Le farfalle di carta hanno molto a che fare con il mio lato naïf e con l’ascolto che dedico alla pulsione più ancestrale dentro di me, quella di creare simulacri, di dare forma a qualcosa di simbolico dove proiettare quello che fa male per trasformarlo.
Per me le farfalle sono una fissazione. Mi interessa tutto l’universo entomologico. E’ una mia grande passione. Sono qualcosa di unico. Primitivo e fantasioso. Mentre taglio e cucio penso alla storia che c’è dietro. Penso a che personaggio sia. Un po’ tornando al teatro. Chi sei? Cosa fai? Ognuna ha un suo carattere. Dentro a questo lavoro c’è la potenza della creazione. Un universo che mi porta a celebrare la vita.
Per fare le farfalle usi anche il filo. Ti stai dedicando al ricamo?
L’atto di cucire ha a che fare con qualcosa di antico e legato alla mia famiglia. La scatola dei fili della mia mamma è stato uno dei miei primi giochi. Il ricamo è una sorta di sospensione del tempo. Ti senti un essere infinito. La morte non ti spaventa. Il ricamo fa parte della schiera dei lavori manuali che servono al cervello per stare bene, per non lasciare che si distragga dai
pensieri negativi. Tu non puoi andare più veloce. E’ un po’ come zappare, seminare, curare le piante. Ad esempio io coltivo orchidee e ho a che fare con le piante da quando sono bambina. Mia madre amava questo. Le piante hanno necessità di un tempo lungo, non fanno quello che dici tu.
A cosa ti sei ispirata invece per l’immagine di donna con i fiori?
E’ un prototipo per un libro d’artista realizzato con la stampante casalinga. Avevo questa fotografia trovata in un mercatino, una donna sorridente di cui non conoscevo l’identità, ma volevo darle una nuova vita, narrare una storia o suggerire la sua appartenenza ad un universo botanico, fino a far scomparire il volto dentro una coltre di fiori. Mi è capitato però di fare un errore: ho sbagliato a inserire il foglio nella stampante di casa. E così non sono riuscita ad ottenere la sovrapposizione che volevo ma ho scoperto che potevo avere la sovrapposizione in controluce. Ho fotografato i fogli in controluce e ho scoperto una delicatezza di trasparenze che se non avessi sbagliato non avrei mai immaginato. Da un errore è nata la poetica. Non siamo perfetti e non siamo capaci di fare le cose subito. Sono proprio l’errore e il fallimento ad essere spesso la chiave della creatività.
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