Foto di Annalisa Bollini
Fili colorati che, danzando insieme all’ago, bucano la tela e danno forma a immagini da sogno. Un inno alla fantasia, a quella dimensione dove tutto è possibile, poiché immaginabile. Annalisa Bollini, illustratrice freelance residente a Torino, esprime con la sua arte scenari lontani ma vicini, luoghi surreali arricchiti da dettagli che appartengono al nostro mondo, così riconoscibile seppur tradotto in altro. Scenari in armonia con la natura e il collezionismo, sue grandi passioni, e con tutto ciò che il suo occhio riesce a cogliere intorno e dentro di sé. Un universo di colore, bellezza e pura magia si materializza così davanti agli occhi e ti emoziona come se stesse per prendere vita. Dopo aver conseguito un Master in Arte Terapia e aver lavorato nell’ambito dell’editoria ora lavora come freelance e propone progetti nelle scuole. Oltre a numerosi premi e mostre internazionali è stata inoltre inclusa nel libro Unravelling Women’s Art che racchiude una panoramica della produzione artistica tessile femminile tra cui ricamo, tessitura, scultura morbida e altro ancora. Un’arte, il ricamo, a cui Annalisa approda dopo una lunga ricerca che diviene in realtà un’esplorazione interiore, un ritorno a casa, al ricordo di quando sua madre lavorando a maglia trasformava i gomitoli di lana in indumenti da indossare. “È stato come uno di quegli incontri tra sconosciuti che sembrano conoscersi da sempre”.
Per quale motivo hai scelto proprio il ricamo come espressione artistica?
Quando ero piccola mia mamma ha sempre lavorato a maglia e a uncinetto. A noi figlie questo è rimasto. Ogni anno si inventava un maglione di lana diverso, spesso modelli molto colorati ma tradizionali, altre volte più pacati a livello cromatico ma decisamente più stravaganti in quanto a forma. Mi piaceva guardarla lavorare, le mani si muovevano leggere, e veloci e sembravano danzare al ritmo di una musica che riusciva a sentire solo lei. E mi piaceva assistere a quella magia che trasformava gomitoli di lana in indumenti da indossare. Un giorno insegnò a me e a mia sorella il mezzo punto. Da quel giorno, per molti giorni, il nostro passatempo preferito diventò ricamare puffi. Arrivammo a creare un vero e proprio esercito di puffi ricamati, che ci fissò per anni, visto che mia madre orgogliosa incorniciò e appese alle pareti tutte le piccole tele. Dopo quell’impresa ho lasciato da parte ago e filo per molto tempo. Quando ho cominciato a fare illustrazione ho provato tantissime tecniche per trovare la mia strada. Mi è venuto naturale scegliere di usare i fili anziché un pezzo di carta perché credo che il ricordo delle mani di mia mamma, della pace che traspariva e della magia che tanto mi aveva affascinata da bambina, mi abbia fatto improvvisamente sentire a casa dopo tanta ricerca. Una casa familiare e accogliente dove però non ero mai entrata prima. Il ricamo infatti non era una tecnica che conoscevo bene, anzi, ho dovuto imparare da sola la maggior parte dei punti e dei trucchi, ma la sensazione che ho provato mi ha spinto a continuare su quella strada. È stato come uno di quegli incontri tra sconosciuti che sembrano conoscersi da sempre.
Le tue opere sono un collage davvero fantasioso di immagini. Cos’è che maggiormente ti ispira?
Penso sia la natura, gli animali che tornano quasi sempre in ogni cosa che faccio. L’arte cerco di viverla e di conoscerla in tutti gli ambiti. Mostre, musei… Traggo ispirazione da ogni cosa. Ho anche un’indole da collezionista. Raccolgo oggetti di qualsiasi genere. Oggetti che per me hanno una bellezza, una forma particolare. Dai pezzi di piastrelle alle foglie secche, la terra, la sabbia… Anche vecchie incisioni o tappezzeria. Per questo motivo le immagini che ricamo sono spesso disposte in serie. Inoltre, anche i piccoli ritagli che rimangono non li butto via e li riutilizzo per l’illustrazione successiva. Mentre i fili da ricamo legano l’immagine e le idee alla tela, i pezzi di carta legano una tela all’altra, il resto di una è una parte della successiva. Ho voluto raffigurare ad esempio un museo della memoria. Qui torna l’elemento della collezione, del fermare gli oggetti che fanno parte di qualcosa. Gli oggetti che possediamo infatti dicono qualcosa di noi. Noi siamo tutto ciò che teniamo. È come se con quell’azione di scegliere quello specifico oggetto piuttosto che un altro ridessimo valore a una cosa che forse per gli altri non ce l’ha. Ma se noi l’abbiamo scelta c’è un motivo. Parla di noi. Io mi prendo cura delle cose che colleziono. Le conservo, le sposto, gli do un valore appunto. Viviamo in una società dove si passa da un oggetto a un altro molto velocemente. Questo ha influenzato anche le relazioni che abbiamo. Durano sempre meno e vengono interrotte con facilità.
Con ago e filo lasci un segno e trasmetti che ogni cosa è interconnessa. Ogni gesto, oggi pezzettino, ogni sequenza che metti in atto da forma a un qualcosa che si conclude nell’opera. Trasmette un profondo senso di appartenenza, un qualcosa che dura, che rimane insieme. Quel filo rimane. A meno che tu non vada lì con le forbici.
L’ago entra nel supporto, lo buca, lo modifica e seppur il risultato sia visibile in superficie il lavoro svolto coinvolge anche la profondità. C’è un voler essere legato a qualcosa. Il gesto stesso del ricamo crea questo legame. Ricamando non si resta solo sulla superficie come disegnando su carta, si entra, si attraversa la tela e poi si esce. La tela non è un semplice supporto e i fili e l’ago non sono solo degli strumenti. Per questo motivo spesso mi capita di iniziare a lavorare ad una tela con un’idea precisa e poi terminarla in tutt’altro modo. Perché la tela, l’ago e i fili parlano alle mani e agli occhi, suggeriscono percorsi, sono parte integrante dell’illustrazione stessa, bisogna solo stare in ascolto.
Un’altra artista mi raccontò che ricamare è anche una forma meditativa che aiuta a trovare una dimensione di benessere in questi ritmi innaturali e frenetici che la società impone. È così anche per te?
Quando dal lavoro al computer passo al ricamo sento quanto sto meglio. Mi fermo, ho i miei ritmi…o meglio seguo il ritmo del ricamo. Un ritmo decisamente diverso da quello a cui siamo abituati oggi e per questo capace di trasportarti in un altro tempo. Un tempo fatto di pazienza e di cura. E vivere quel tempo fa sicuramente stare bene.
C’è stata in questi anni un’esperienza che ha inciso in modo significativo sul tuo percorso da artista?
Quando ho studiato negli USA mi sono davvero resa conto quanto le possibilità concesse e gli approcci metodologici possano davvero fare la differenza nella formazione di uno studente. Avere a disposizione fino a tarda sera grandi e fornitissimi laboratori dove sperimentare per ore e per giorni interi, ti fa capire che non ci sono davvero limiti alla creatività, che la mente che pensa e il corpo che realizza sono legati da un flusso continuo che è importante far fluire. Gestire ritmi di lavoro serrati e intensi può risultare stressante ma sicuramente produttivo, almeno per me. Realizzare e presentare un progetto diverso ogni settimana per ogni disciplina, confrontandosi con gli altri studenti, è sicuramente costruttivo e soddisfacente. Credo che studiare al MIAD di Milwaukee sia stato fondamentale nel mio percorso da illustratrice, perché lì ho davvero capito che è possibile trasformare un’idea in qualcosa di concreto e che i limiti sono spesso imposti da noi stessi e quindi superabili. Penso sia fondamentale non chiudersi nel proprio mondo ma aprirsi a mondi diversi dal proprio per collaborare e crescere.
Per qualche anno insieme ad un piccolo gruppo di artisti (Andres Aguirre, Paolo Padolecchia e Nella Caffaratti), ho lavorato ad alcuni progetti legati al quartiere Barriera di Milano, una parte periferica e multiculturale della città. Per esempio, abbiamo realizzato il bancone della zona cafè di una casa di quartiere a Torino. Si tratta di un grosso pesce composto da alcuni meccanismi che azionati animano tutta una serie di oggetti di recupero trovati in giro che compongono il corpo del pesce. Si chiama Cyprinus Perpetuus, in onore della specie autoctona Cyprinus Carpio che vive ancora nel Po nonostante l’inquinamento. Un movimento perpetuo che mantiene vivo questo pesce e lo rende immortale. Per noi voleva essere un simbolo di resistenza.
Secondo te che ruolo ha l’arte in questo momento storico di fronte alle sfide globali che stiamo affrontando come il cambiamento climatico?
L’arte contemporanea ha una grossa responsabilità. Penso che oggi l’arte debba essere politica. Deve rendere visibile l’invisibile fino a scuotere le coscienze e contribuire a decolonizzare le nostre menti. L’illustrazione e i libri illustrati in particolare, che io considero una forma d’arte, svolgono un ruolo fondamentale nell’alfabetizzazione visiva, necessaria oggi più che mai affinché le nuove generazioni possano affrontare quel bombardamento iconico a cui siamo soggetti tutti i giorni, in modo critico e consapevole senza esserne sopraffatti. Sviluppa la capacità narrativa, fondamentale per ogni aspetto della nostra vita, e l’immaginazione che costruisce menti più libere e divergenti. Credo siano uno strumento educativo di grande importanza ancora oggi troppo sottovaluto.
Mi racconteresti la storia della tua opera “Lei-la terra” che mi ha così tanto affascinata?
Fa parte di un progetto che ho chiamato ‘’Cosmogonia – Come ogni cosa è iniziata’’. Ho provato ad interpretare come è nato il Pianeta Terra e successivamente la vita su di esso. Sono partita da due entità, lui e lei, che osservano l’universo silenzioso e infinito in cerca di un luogo dove vivere. Una volta trovato il posto più adatto, cominciano a guardarsi attorno, lui sceglie tutto ciò che sale su verso l’alto, lei tutto quello che scende giù verso il basso. Avvenuta questa separazione, ogni elemento comincia ad unirsi ad altri elementi secondo regole di assoluta armonia. Da queste cellule nasce ogni essere vivente sotto gli occhi di lei, la terra, e di lui, il cielo.
In che modo usi l’arte terapia con i ragazzi/e delle scuole e che risultati hai ottenuto?
Io credo che la manualità sia una delle capacità che ci definisce, ci arricchisce e ci permette di comunicare. Per questo ritengo fondamentale che venga costantemente esercita e insegnata nelle scuole. Purtroppo ho notato che è sempre più frequente incontrare bambini e ragazzi con poca manualità. Cerco per questo di proporre attività che allenino e sviluppino una maggiore consapevolezza dello strumento mani e del loro potenziale creativo. Capita spesso di notare stupore e soddisfazione quasi incredula sul loro volto quando si accorgono ad esempio che assemblando piccoli pezzi di legno di recupero hanno costruito qualcosa.
Questo magazine parte dal presupposto che credendo in noi stesse possiamo far sbocciare appieno i nostri unici talenti nella società. Cosa diresti alle giovani che vogliono intraprendere una carriera artistica?
La mia difficoltà iniziale è stata quella di riuscire a disegnare quello che ho nella testa quindi riuscire a dare una forma a ciò che non esiste nella realtà. Non avevo il coraggio all’inizio di dire “anche se non vedo un cavallo con le ali posso disegnarlo”. La scuola mi ha aiutato in questo cioè nel credere di poter fare le cose. Provarci tanto, impegnarsi. Anche se non ti viene subito non bisogna fermarsi. Per me chiunque può riuscirci. Non è importante se una cosa ti viene bene o male. L’importante è il processo perché ti aiuta a sviluppare quelle capacità che ti servono per poi riuscire a fare una cosa. Penso inoltre che tutti dovrebbero fare esperienza del processo creativo. Questo significa affrontare gli ostacoli interiori e riuscire a fare quello che prima ti sembrava impossibile. Farlo poi con divertimento ti fa capire, quando superi le cose, che non erano poi così impossibili. Da questo acquisisci fiducia e puoi affrontare qualsiasi cosa. Dovremmo quindi tutti attingere a quello spirito che avevamo da bambini. Superare le paure, il giudizio di non essere adatti o abbastanza bravi e impegnarci nel realizzare quello che desideriamo.
Che progetti hai per il futuro?
Sto finendo un libro per un privato che ha lavorato per tanti anni nel campo dei vini, legato anche agli stati d’animo, a una sfera emotiva. Uscirà a breve. Vorrei riuscire a dedicare il giusto tempo a un progetto di libro illustrato senza parole a cui penso da un po’ e vorrei imparare a fare le calze di lana illustrate, sarebbe bello indossare illustrazioni.
Fernanda
Entusiasta delle sue opere. Ma come mi piacciono I suoi disegni ricamati. Anch’io un tempo ricamavo, ek condivido l’importanza di sviluppare la manualità nei ragazzi. La creatività mi ha aiutato tantissimo. Molti complimenti
Cristina Ropa
Grazie di cuore Fernanda per il tuo commento. Lo trasmetterò ad Annalisa! La sua arte è davvero magica, in grado di risvegliare universi meravigliosi dentro di noi. Un caro saluto, Cristina