Ritornare alle origini, all’essenza più pura e incontaminata. Un processo di ascolto, di presa di consapevolezza riflettuta e meditata che può stimolare nuove idee, decisioni che sovvertono, scompigliano un ordine per ristabilirne un altro: più aderente alla propria unicità, al proprio cuore, più bisognoso di un intrepido e costante coraggio di sfidarsi. Così è nata e si è evoluta la scelta di Chiara quando a un certo punto della sua vita ha deciso di aprire l’Azienda agricola Casa Vallona.Il rispetto per la perfetta e meravigliosa armonia che scandisce i ritmi della natura, il dialogo con essa, il rigenerare una biodiversità andata perduta, il prendersi cura dunque della terra per poterla lasciare “meglio di come l’avevo trovata” come da lei affermato e che riassume uno dei concetti cardini al centro dello sviluppo sostenibile. E poi l’accoglienza, la cura dei dettagli, l’atmosfera di serenità che emanano le cose autentiche e semplici, i sapori genuini di una volta, l’importanza di perseguire e di diffondere pratiche sostenibili che possano sensibilizzare tante persone nel decidere di abbracciare questa via necessaria per il benessere del Pianeta e di ogni essere vivente che lo abita. Questo e molto altro è Casa Vallona.
Com’è nata la tua azienda agricola?
Prima di aprire questa attività lavoravo in ufficio a Milano per una grande azienda. Per certi aspetti mi piaceva, per altri sentivo che la mia parte creativa non usciva quasi mai. Poi ogni tanto una vocina dentro la testa si chiedeva: come voglio vivere? In che modo mi vedo ogni giorno della mia vita? Sopportare il caos, il rumore, rincorrere la carriera e il guadagno mi apparivano come cose in cui l’essenza della vita sfuggiva completamente. Nel 2015 quindi decisi quindi di iniziare a concepire nel concreto un progetto tutto mio. Era da tempo infatti che fantasticavo sul recupero di un casale di famiglia a Monte San Pietro nell’area metropolitana di Bologna, e risalente al Medioevo. Una casa colonica, abitata da tante persone fino al secondo dopoguerra, con stalla, fienile e tanto altro spazio dove vivere appieno la vita di campagna. Partecipai a un bando indetto dalla Fondazione Garrone che seleziona ogni anno 15 ragazzi sotto i 35 anni ai quali viene data una formazione a tutto tondo sull’imprenditoria in Appennino: marketing, aspetti commerciali, comunicazione, una full immersion che comprende anche i temi del dissesto idrogeologico, caccia, tutti aspetti che ti trovi ad affrontare quando avvii un’impresa in un luogo montano. Fu un bellissimo risultato riuscire a partecipare e “creare” il mio disegno di vita. Sono cresciuta in Appennino e la mia essenza più profonda è sempre stata legata a questo mondo. I miei ricordi più belli sono legati ai pomeriggi dopo scuola quando andavo per boschi con mio nonno: un panino, e il succo di frutta, una merenda fatta in casa…Questa per me era la libertà, come lo è anche ora.
In che modo hai applicato concretamente questa formazione e com’è strutturata ad oggi l’attività?
Per capire come valorizzare dieci ettari di terreno c’è voluto tanto studio e tanta ricerca di contatti con persone che facevano un’agricoltura sostenibile e etica. Ho iniziato a capire che c’erano dei mondi immensi: uno di questi è il grano antico cioè quel grano diffuso prima dell’avvento dell’agro chimica e del boom dell’industrializzazione delle sementi; le api inoltre hanno avuto un ruolo fondamentale fin dall’inizio. Ho cercato sempre di tenere alto l’ascolto verso la natura e mi sono fatta influenzare solo dal mio obiettivo: lasciare la terra meglio di come l’avevo trovata. Ho sviluppato così Casa Vallona in tre macro aree: una produzione agricola multifunzionale ispirata al modello agricolo dei miei avi per produrre le cose utili alla vita quotidiana come la coltivazione di cereali, la frutta, l’orto, la vigna cercando di imparare più cose possibili su tutto quello che poteva ruotare intorno alle necessità di una casa. Ad oggi produco vini naturali e ancestrali, birra di frumento, farina e pasta secca di grano antico, biscotti e altri prodotti da forno per l’agriturismo, miele, verdura e frutta, confetture e composte di vecchie varietà dimenticate. Poi ci sono il b&b e l’agriturismo in pietra e mattoni a vista, cantine ferme nel tempo, forni a legna, pozzi in pietra rossa, torrette, fienili e stalle. Un rifugio con vedute mozzafiato su boschi, vigne e colline a perdita d’occhio dove riscoprire il piacere di un ritmo quotidiano più lento. E poi l’ambito culturale. Eventi musicali, gastronomici e legati alle stagioni, presentazioni di libri, mostre, work-shop sull’autoproduzione e cooking experiences. Attualmente sono focalizzata sulla rigenerazione ecologica dei luoghi e sto implementando un progetto di agro foresta di frutti antichi. Questo percorso è divenuto occasione di didattica condivisa con studenti da tutto il mondo.
Hai parlato di essenza. In che modo l’hai ritrovata in questa nuova dimensione di vita?
La vedo nel grano che cresce, nell’organizzarsi per raccoglierlo, andare al mulino, macinarlo, farlo diventare pane e poi mangiarlo, gustarlo in casa e con gli ospiti. Per me questa è l’essenza. Alla fine se ci pensiamo di che cosa ha bisogno l’essere umano? Un posto dove ripararsi, cibo e l’affetto dei propri cari. Nella vita che facevo prima mi mancava questo aspetto pragmatico che è alla base della vita contadina. La storia di questo luogo è fatta di tanta fatica, tanto sudore che i contadini sentivano ripagato con la pienezza di produrre qualcosa di buono, di portarlo al mercato, di vedere le persone contente. Questa essenza semplice contadina l’ho ritrovata anche ora con il vantaggio di essere molto supportata dalla tecnologia. Qui posso percepire la pienezza con poco. Prima compravo tante cose che nemmeno mi servivano. Adesso ho meno cose ma mi arricchiscono e appagano di più.
Paradossalmente oggi questo approccio sostenibile verso la natura, da sempre praticato dai contadini di una volta, viene considerato innovativo. Che tipo di produzioni, interventi sostenibili hai introdotto nell’Azienda Agricola?
L’utilizzo del grano antico è una di queste scelte. I grani che uso prendono poco dal terreno e hanno radici più profonde, non hanno bisogno di fertilizzanti. Non hanno bisogno di niente se non di essere seminati, poi lasciati lì e dimenticati. Ho provato anche la semina su sodo ma con scarsi risultati quindi ho trovato altre vie. Così come per l’orto e il frutteto sono dovuta passare per una serie di fallimenti prima di intraprendere la permacultura che sto ancora studiando. Tutto quello che ho fatto finora mi ha insegnato tanto ad accettare di sbagliare. La vigna è un altro ulteriore mondo tutto da scoprire. Ho cercato di tenere alto l’ascolto di chi aveva già esperienza ritornando però poi sempre al mio obiettivo. Se hai un assioma che ti guida fai presto a eliminare tutto quello che non lo persegue. Quindi fin da subito per me è stato chiaro dire no ai fertilizzanti e pesticidi chimici che impoveriscono la terra e uccidono chi la abita. Poi ho introdotto le erbe aromatiche che aiutano la sopravvivenza delle api e degli insetti impollinatori tra cui le farfalle. Mi sono messa pian piano a ricostruire con attenzione un ecosistema il più biodiverso possibile, partendo da un luogo in cui quando sono arrivata non ronzava nemmeno un’ape. A distanza di 5 anni, ora qui ci sono tantissime piante nuove: prugnoli, ginestre, noccioli, allori, filari di lavanda, ruta, rosmarino, timo, origano, santoreggia e quando arriva la primavera è un tripudio di bombi, maggiolini e farfalle…E’ veramente uno spettacolo vedere tutta questa vita.
Quali sono le difficoltà più grandi che hai incontrato nella realizzazione del progetto?
La burocrazia chiaramente è una di queste. Bisogna saperne tanto e avere persone fidate perché è veramente una giungla. Altra cosa impegnativa è stata imbarcarsi in un progetto così enorme. Ad oggi la sfida più importante è evolvere in maniera organizzata e strutturata. Vorrei includere altre persone che possano abbracciare questo progetto e farlo crescere insieme a me. Ad oggi questa è la sfida più impegnativa. Non ho ancora investito in risorse umane perché non sapevo come sarebbe andata. Avrei voluto farlo nel 2020 ma poi è arrivata la pandemia e ho fermato tutto. Con il Covid tanti miei colleghi si sono ritrovati a dover mandare a casa delle persone con cui collaboravano da anni. Nel 2021 però questo passo voglio e spero di farlo. Penso sia importante per continuare a crescere e dare un’impronta importante alla didattica.
Che novità hai introdotto nell’ottica di proporre una formazione che sensibilizzi sui temi della sostenibilità?
Quest’anno diventeremo una scuola di permacultura e diffusione di buone pratiche grazie a Luca Burani, agronomo che ha studiato in Australia questi temi così importanti. Inoltre vorremmo fondare un’associazione culturale per diffondere maggiormente i valori della sostenibilità ambientale. Dall’autoproduzione per la casa e per la persona ai sistemi agro ecologici che possono funzionare in piccole/medie superfici. Vorremmo poter fornire consigli alla persona che ha il cortile e ha voglia di avere più biodiversità così come a chi fa il contadino nel week-end o di mestiere. Dunque aiutare, accompagnare le persone che desiderano fare questa transizione verso la sostenibilità insieme a noi. Il 2020 è stato un anno catastrofico che mi ha portato ad avere ancora più coraggio, a fare di più. Mi sono chiesta: adesso che sono arrivata qui e che sto rendendo questo posto spero migliore di come l’ho trovato, cosa posso fare? La risposta che mi sono data è stata: voglio piantare più alberi, voglio fare un bosco commestibile, un luogo dove l’uomo cerca di imitare la natura e ne raccoglie i frutti. Se ci pensi quando facciamo un frutteto o una vigna non imitiamo mai la natura ma riproduciamo un sistema che abbiamo concepito per essere produttivi e comodi. Abbiamo sempre una visione antropocentrica perché dobbiamo portare a casa un risultato. La foresta commestibile scardina il concetto che l’uomo sia al centro di tutto e rimette al centro la necessità della terra. Anche se questo significa portare un apparente confusione. Se entriamo in un bosco, che è uno dei luoghi più incontaminati per eccellenza, notiamo che non ha un filare solo di aceri, meli o ciliegi ma queste varietà sono mischiate tra di loro. Seppur possa sembrare una condizione caotica in realtà è armonica perché le radici, le foglie, le piante si parlano tra loro. Tutto questo ha un senso. Una pianta che non ama la vicinanza di un’altra pianta non crescerà mai rigogliosa. Diverso è se due piante sono in sinergia tra loro perché la loro composizione chimica le rafforza a vicenda. Vorremmo dare più fertilità alla terra, più riparo agli insetti, provare a convivere con caprioli e cinghiali lasciando piante selvatiche di cui si possono nutrire, creare dei corridoi naturali che possano essere per loro un riparo. Non è un sistema che prevede solo l’uomo ma tutto il microcosmo che popola queste colline. Vorrei inoltre dedicare più spazio per accogliere piccoli gruppi che desiderano fare esperienze in azienda sempre mantenendo una dimensione piccola, curata, famigliare che è uno dei lati più belli e apprezzati di Casa Vallona.
E’ come se andaste a ristabilire un equilibrio tra essere umano e natura che in questi anni è stato sovvertito. Cosa ti muove a lavorare per la sostenibilità, per la natura? Perché hai fatto questa scelta?
Sicuramente è la volontà di continuare ad essere una persona migliore. Per quello ti parlavo di “essenza”. La nostra vita è un breve attimo rispetto ai milioni di anni di questo Pianeta. Secondo me è importante trovare uno scopo che miri a migliorare il posto in cui siamo. Avere la serenità di essere state persone buone, di aver fatto del bene. Anche se quello che sto facendo forse non basterà a cambiare tutto quello che abbiamo fatto di male su questo Pianeta, il fatto comunque di aver contribuito con quel granello di sabbia a un mondo migliore, a un’esistenza migliore, più piena per me e per chi mi sta intorno, è fondamentale.
Qual è secondo te la chiave per riuscire a coinvolgere anche le persone più restie a intraprendere questo cammino della sostenibilità che è inevitabile se vogliamo dare un futuro all’umanità?
Chi ancora pensa che un futuro sostenibile sia evitabile ha una visione molto ristretta. Penso anche che servirebbero delle realtà, degli organi che diano più aiuto tecnico. L’ultima esperienza che ho avuto è stata con il Consorzio Agrario dell’Emilia-Romagna. I contadini lo vedono come un detentore del sapere ma esso stesso è avulso rispetto al cambiamento in atto. Cercavo delle protezioni per gli alberi, perché i primi anni di vita vengono mangiati nella parte bassa del fusto dagli animali selvatici. Ho chiesto a questo Consorzio se ci fosse un’alternativa alle protezioni di plastica visto che siamo in un’epoca in cui si vuole eliminare la plastica o quanto meno ridurla. La risposta è stata negativa. In autonomia ho dovuto cercare sul web un’azienda “illuminata” che producesse queste protezioni con materiali diversi. Ne ho trovata una prodotta con un cartoncino in fibra di pino biodegradabile che viene dalla Francia. Perché in Italia non abbiamo questo tipo di sviluppo? Ora si stanno creando delle aziende che per fortuna sono sempre più ecosostenibili ma quando ti rivolgi a chi dovrebbe essere detentore di un sapere più alto o comunque dovrebbe avere una visione un pochino più allargata, non si ha una minima proposta alternativa. Stesso discorso per quanto riguarda le sementi. Dicono che quella biologica sia uguale alle altre. Non è così. Le sementi non biologiche hanno frequentemente una bagnatura o polverizzazione di pesticidi dannosa sia per chi abita il sottosuolo, che per gli impollinatori, perché al momento della semina si alza nell’aria e si deposita sulle foglie o sui fiori circostanti. Io che sono una comune cittadina devo spiegare all’impiegato che vende un prodotto per l’agricoltura un aspetto tecnico e ambientale così basilare? Le persone dovrebbero avere la possibilità di avere una panoramica globale da chi fornisce loro i prodotti. Dovrebbero informarli su tutte le possibili varianti. Ad esempio: vuoi usare questo tipo di prodotto in plastica per proteggere i tuoi alberi? Ok però mi devi informare sul fatto che inquina, disperde pezzi nell’ambiente, il materiale non è biodegradabile. Se compri l’alternativa invece spendi lo stesso prezzo ma poi te ne puoi dimenticare. Non finirà nel tuo campo, non diventerà rifiuto ma concime per la terra. Se hai questo tipo di informazione da lì puoi scegliere. Ma se non ti danno neppure questa possibilità è chiaro che diviene una fatica enorme. Bisogna avere consapevolezza nell’usare gli strumenti. Questo secondo me è il primo scoglio enorme che viene ancora prima dell’apertura mentale.
Aziende come la tua possono essere modelli a cui ispirarsi sia per chi fa questo mestiere sia per i cittadini. Un circolo virtuoso che parte anche dal dialogo e dall’esperienza.
Quando alle persone dici che c’è un’alternativa, stimoli curiosità perché l’essere umano è curioso di natura. Nel piccolo si può fare tanto e nel fare si da l’esempio più grande. Quando vedono che un posto crea bellezza ed è longevo significa che qualcosa di buono lo sta facendo. Le persone si incuriosiscono, approfondiscono e da lì credo che possano nascere belle cose. Un altro mantra è copiare. Iniziamo a copiare senza paura chi è più bravo di noi perché se si copia bene si vince tutti.
Cosa consiglieresti a un giovane che vuole aprire un’impresa sostenibile in questo momento storico?
Direi che è il momento giusto. Da quella che è la mia esperienza e da quello che vedo, il coraggio e la passione, fare le cose con il cuore, sono già un successo a metà. Ovviamente direi che niente è facile. Forse non lo è mai stato. Pensare anche al momento storico in cui si inserisce l’attività è fondamentale: in questo momento l’umore di tutti è basso e i soldi sono pochi, tante persone hanno perso il lavoro e siamo di fronte ad una crisi economica epocale. A maggior ragione, proprio ora le persone hanno voglia di autenticità e spero che questo aspetto non cambi. Per chi vuole avviare un’impresa e si allinea a questo facendolo con il cuore c’è tanto spazio.
Si percepisce la voglia delle cose autentiche e di un contatto più stretto con la natura che oltre a far bene allo spirito fa bene anche alla salute. Quant’è migliorata la tua da quando vivi a Casa Vallona?
Dai 18 anni ai 30 ho vissuto in città e le polveri sottili mi uccidevano. Mi hanno poi diagnosticato, in seguito, una bronchite cronica. Avevo riniti allergiche, laringiti, febbri, tutti malanni per i quali ero sempre in farmacia. Mi sentivo perennemente in battaglia. Infatti ricordo il terzo giorno che arrivai a Milano: avevo la febbre a 39, il mio corpo reagiva probabilmente all’inquinamento e avendo già problemi respiratori, è andato in tilt. Questo era il mio mondo in quegli anni. Ad oggi non vado più in farmacia per questo genere di problemi. Prendo miele, propoli, olio essenziale di lavanda da me prodotti e che porto sempre in borsa. Da quando ho meno stress e respiro l’aria di collina credo si sia alzato il livello delle difese immunitarie e non ho mai più avuto problemi respiratori.
Dai tuoi racconti traspare un legame molto forte con la natura che a grandi linee hai già ampiamente trasmesso. Ma a domanda diretta, come lo descriveresti questo legame?
La natura mi ha messo davanti a un rapporto amoroso. E’ un rapporto molto simile ad una relazione. Idealizzarlo significherebbe non volerlo guardare in tutta la sua interezza, non accettare anche il male che ci può fare e la sua grandezza, la sua vastità. Io posso migliorare questo posto piantando alberi, la natura mi regala aria buona, riparo dal caldo, contemplazione, bellezza, poesia. Come in un rapporto amoroso lo scambio può essere bellissimo, può essere costruttivo e farti crescere. Allo stesso tempo può essere distruttivo perché la stessa natura che ti da riparo si manifesta con il vento e la pioggia torrenziale, sfuggendo al nostro controllo. La natura rimane qualcosa di misterioso che ci fa paura come fa paura anche la persona che amiamo se ci rendiamo conto che dalle sue azioni dipende la nostra felicità. Come in ogni rapporto d’amore ci sono alti e bassi. La notte scorsa la volta celeste era piena di stelle, l’ho osservata innamorata come la prima volta. Poi quando mi tocca alzarmi presto o far tardi la sera penso: “Ma chi me lo fa fare?” La verità è che senza di lei non potrei stare.
Foto di copertina Eugenio Soliani
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