Sono bastati pochi attimi per comprendere l’immenso valore racchiuso nel Festival Forni e Fornaie tenutosi l’anno scorso a maggio sulle colline di Monghidoro nel territorio metropolitano di Bologna. Incontri sull’importanza di curare con attenzione il suolo affinché possa restituire nuova vita, approfondimenti sulle farine dalla coltivazione in campo alla tecnica molitoria, e ancora talk sulla democrazia del sistema alimentare, sul lessico del grano, laboratori per bambini e bambine e tanto altro. Ho voluto incontrare Sara Pellegrini e Silvia Bonzio, tra le organizzatrici, per approfondire insieme quali siano state le riflessioni e i percorsi intrapresi per realizzare un progetto così ambizioso e così prezioso. All’origine troviamo una realtà storica come il Forno Calzolari e la Comunità Grano Alto ma soprattutto troviamo cuori e menti indirizzate, passo dopo passo, a generare azioni virtuose e desiderose di creare un futuro sostenibile. Partendo dal locale fino ad espandersi a livello internazionale, non solo è emerso il loro forte intento, partendo dal seme fino ad arrivare alla pagnotta, di mettere al centro l’estrema cura per ogni singolo passo intrapreso al fine di creare una filiera che sia pienamente sostenibile ma di porre questi valori anche in ogni aspetto dell’esistenza, in una coerenza senza discontinuità, dove il legame umano emerge in tutta la sua potenza rivelandosi nuovamente la matrice da cui tutto si sviluppa e fiorisce.

Qual è il vostro ruolo all’interno della Comunità Grano Alto e del Forno Calzolari?
Silvia: al Forno mi occupo della gestione generale, un ruolo quindi da tutto fare. Un impegno importante in termini di tempo. La Comunità, che fa parte del movimento culturale internazionale Slow Food, l’ho fondata insieme a Matteo Calzolari e insieme ad altre nove persone residenti nel Comune di Monghidoro.
Sara: Silvia è molto umile. Per quanto riguarda il suo ruolo è fondamentale avere qualcuno come lei che possa avere una visione d’insieme e infondere alle cose quotidiane un respiro diverso. Aggiungerei che Silvia ha il ruolo di mettere a sistema le energie e dare una prospettiva per il futuro. Una cosa non da poco.
Silvia: sì cerco di contribuire con una visione più dall’alto e omogenea delle cose. Sara è entrata nella comunità ma ora la stiamo assorbendo anche nel Forno.
Sara: tutto è iniziato due anni fa quando andai a Monghidoro per scoprire qualcosa di più sulla farina e sul lavoro del Forno Calzolari che già conoscevo e che ho scoperto essere l’unica realtà ad avere determinate caratteristiche legate alla produzione sostenibile. Ero molto interessata al modo in cui fossero riusciti a sovrapporre la filiera all’aspetto più comunitario. Ho quindi cercato di costruire un racconto intervistando le persone coinvolte e piano piano mi sono sempre più avvicinata fino a diventare parte del progetto. Il mio è un profilo creativo legato alla comunicazione visiva e al marketing.


Tra le varie realtà presenti nel settore della panificazione quali sono le caratteristiche che rendono la vostra così unica?
Silvia: sicuramente la circolarità. Tutto questo nasce dall’idea di Matteo quando vent’anni fa decise di costruire una filiera di grani sostenibili che partisse dal seme, che noi stessi produciamo, fino ad arrivare alla farina, al pane e alla costruzione di una comunità basata su relazioni sociali oltre che economiche. Siamo molto orgogliosi di tutto questo processo. Per noi inoltre è importante garantire un prezzo equo agli agricoltori. Come comunità inoltre abbiamo voglia di muoverci, di guardarci attorno. L’ultimo viaggio l’abbiamo fatto in Marocco.
Che scambio c’è stato con i contadini e le contadine marocchine?
Silvia: come noi anche loro rispettano pienamente la terra. Poi essendo in Africa, in un contesto molto diverso dal nostro, ci sono delle divergenze. In confronto a loro ci sentiamo molto fortunati. Abbiamo ancora dei margini di manovra per andare verso uno sviluppo sostenibile. Lì invece sono vittime di logiche di mercato da cui è difficile uscire e che compromettono la qualità della vita.
Il cuore pulsante del vostro lavoro sono le relazioni umane che hanno messo radici nel luogo in cui siete per poi espandersi. Tutto questo processo che valore aggiunto ha apportato?
Sara: sicuramente l’avvicinare persone con visioni diverse ha permesso di costruire insieme quello che è diventato il Festival Forni e Fornaie, un momento di grande scambio ed apertura. È stato un processo graduale che ha portato a un cambiamento delle cose nel tempo. A settembre 2021 abbiamo iniziato a fare delle veglie mensili, fondamentali per avere uno scambio tra noi con gli agricoltori e per decidere insieme gli eventi del Festival. Trovare ora questo spirito in un paesino sull’Appennino non è scontato.
Che cosa ha permesso questo coinvolgimento da parte dei contadini e delle contadine?
Sara: Un aspetto potrebbe essere la fiducia che si è costruita nel tempo attraverso la serietà con cui lavorano le persone. Penso inoltre che una figura come quella di Silvia, che non c’è dappertutto, voglia dire molto. Vuol dire avere qualcuno che ti aiuta a risolvere le questioni e a guardarle da un altro punto di vista che va oltre il mero scambio economico.
Silvia: sono molto d’accordo. Se dobbiamo dedicare tanto tempo a qualcosa abbiamo bisogno di sentire che c’è anche un altro tipo di valore oltre a quello economico. Inoltre, fidarsi delle persone credo che sia molto appagante. Soprattutto tra persone che non hai scelto come amici ma che ritrovi durante il percorso, persone con cui puoi anche discutere ma con cui hai un rapporto trasparente e appunto di fiducia.


Anche nel vostro lavoro ci sono degli stereotipi che si sono consolidati nel tempo. Una volta era diffusa la figura della fornaia, oggi invece è più comune sentir parlare del fornaio. Com’è avvenuto questo ribaltamento e in che direzione state andato sul tema della parità di genere?
Silvia: ora stiamo vivendo un momento fantastico. Abbiamo quattro fornaie e cinque fornai. È diverso per quanto riguarda i commessi. Abbiamo solo uno ragazzo e ben dieci ragazze. Secondo me questo cambiamento è attinente all’avvio di un processo di industrializzazione in un lavoro che prima era artigianale e tramandato tipicamente dalle donne.
Sara: storicamente è avvenuto proprio questo. Nel momento in cui fare il pane è uscito dalle case ed è diventato un lavoro in cui fisicamente dovevi stare fuori la notte è diventato automaticamente più affine agli uomini. Ora le cose stanno di nuovo cambiando. Non è un caso che sia nella produzione che nella gestione dei forni stiano iniziando ad arrivare delle donne e che stia cambiando anche il linguaggio.
Cosa vi è rimasto più impresso tra i vari viaggi e scambi che avete avuto rispetto al ruolo della donna?
Silvia: abbiamo fatto solo due esperienze all’estero finora, una in Marocco e una a Nottingham in Inghilterra. In Africa sono principalmente le donne a fare il pane ma non è riconosciuto in termini di professione e di fatica. D’altro canto, la cosa positiva è che abbiamo conosciuto la Presidente della Comunità Slow Food del Piccolo Farro che ha dimostrato di essere una donna volitiva e caparbia e si è ritagliata un ruolo importante e autorevole all’interno della comunità. È vero che è una donna benestante e ha avuto gli strumenti culturali ma non è scontato.
Sara: non penso sia un caso che in entrambi i posti, Marocco e Inghilterra, dove siamo stati a maggio per un Festival che si chiama UK Grain Lab simile al nostro Forni e Fornaie, erano le donne a portare il cuore, la testa, la visione di tutto. Anche in quello che facciamo noi il ruolo della donna, anche di quello che abbiamo fatto io e Silvia, ha il suo valore. Questi eventi che realizziamo hanno una forte connotazione femminile. Richiedono sforzi enormi ma iniziare ad esserne il riferimento, ad essere portatrici di un certo tipo di cultura e di persone è importante. Poi è anche vero che sul palco ci vanno tanti uomini, in numero ancora maggiore rispetto alle donne.
Il percorso verso uno sviluppo sostenibile sembra procedere a passi lentissimi e con forti battute d’arresto a causa della pandemia e dell’incapacità dei leader di prendere decisioni coraggiose. Come possiamo fare per rendere più dinamico, più veloce questo cambiamento?
Silvia: non lo so. Io non riesco più ad essere veloce. Se arrivi a prendere coscienza di certi meccanismi non c’è più una cosa da scegliere. Io cerco di impegnarmi al massimo nelle piccole cose quotidiane come ad esempio assumere una fornaia, pagare 10 euro in più l’agricoltore, andare una volta al mese alla veglia. Sono piccole cose ma per la mia esperienza vedo che sono queste piccole cose a portare più frutti.
Sara: oltre a questo lavoro sincero che si deve fare credo sia importante costruire questi momenti pubblici ad esempio le manifestazioni culturali come può esserlo il nostro Festival Forni e Fornaie e come Terra Madre che si è svolto l’anno scorso a Torino. Una cosa che mi piace sottolineare è che la sostenibilità o una visione di vita sostenibile non è una missione, è un’opzione. Purtroppo, però non tutti hanno la possibilità di accedere a un cibo buono, pulito e giusto. Non possiamo fare finta che non ci sia una questione di equità e accessibilità. Sono d’accordo anche di agire nelle piccole cose quotidiane come portare il forno a legna della comunità a Bologna il mercoledì sera e il sabato mattina al Mercato Ritrovato e mostrare come si facevano le cose un tempo. Pagare una piccola quota se vuoi cuocere la pagnotta è un’opzione facile da scegliere. Ogni persona ha poi tempi, forme, misure diverse.


Che futuro vi immaginate per la Comunità e per il Forno?
Sara: in Italia siamo gli unici ad autoprodurre il seme, quindi, è una mia speranza che in futuro si continui questo lavoro di essere un buon esempio per il territorio, che si riesca a creare un modo per accogliere più persone per innescare piccoli meccanismi virtuosi anche in altri luoghi. Quando quello che facciamo diviene scambio con altri può generare qualcosa di molto forte. Il mio augurio è che il nostro evento culturale abbia nel tempo la forza per diventare un evento nazionale che le persone aspettano ogni anno con impazienza.
Silvia: condivido appieno quello che ha detto Sara. Penso sia importante riuscire ad entusiasmare. Sicuramente per la comunità mi auguro di continuare il nostro lavoro fatto per bene cioè affinare dei meccanismi e procedure interne che ci permettano di lavorare meglio sotto ogni profilo. Crescere quindi nella qualità.
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