L’assenza di qualcosa, se vissuta come occasione in cui generare infinite nuove possibilità, piuttosto che come vuoto, può essere l’origine di contenuti davvero straordinari. Così è stato per Il Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale di Pontedera. “Della mancanza di un teatro (inteso come edificio) hanno fatto il punto di partenza per un’affascinante ricerca sullo spazio: il teatro di strada, i festival pensati come teatro nella città, gli spettacoli come itinerari per gli spettatori” raccontano. Ed è proprio da queste origini, da questi movimenti pieni di creatività e di vitalità, di apertura verso tutto e tutti, di inclusione quindi che porta la cultura, l’arte in ogni luogo, angolo della società che nasce il Collettivo Hospites e la loro Festa di Primavera Crocevia del Performativo giunta quest’anno alla sua seconda edizione. Da venerdì 10 giugno fino a domenica 12 giugno si susseguiranno momenti di incontro, scambio, condivisione di esperienze, di gioia e di tutta la meravigliosa professionalità che giovani artisti e artiste hanno saputo costruire nel corso di anni e che per questo Festival hanno deciso di mettere in scena in vari spazi della città che diviene palcoscenico per incontrarsi, raccontarsi e crescere insieme. Hospites sono coloro che accolgono e che vengono accolti. “Stranieri, ospitali, ignari. La condizione necessaria della scoperta e dell’ascolto”. È in questa atmosfera, rappresentativa del Collettivo, che tre giovani attrici Chiara Comis, Federica Benini e Antonella De Francesco mi raccontato della loro passione per il teatro di ricerca e per ciò che insieme stanno cercando di realizzare in una continua tensione esplorativa, sul linguaggio, sul passato in connessione con il presente, sull’esserci qui e ora così come nel mondo.

Come e quando nasce il Collettivo Hospites?
Chiara: Ci siamo incontrati totalmente per caso nel novembre 2017. Tutti noi membri fondatori stavamo partecipando a un laboratorio che si svolgeva al DAMSLab La Soffitta in Via Azzo Gardino, organizzato da Marco De Marinis professore molto conosciuto che insegnava storia del teatro. Il laboratorio era guidato da Mario Biagini del Work Center of Jerzy Grotowski and Thomas Richards di Pontedera (Pisa) che ha chiuso da poco come centro di ricerca. Eravamo in 15 e abbiamo incontrato anche Eduardo Landim, attuale regista del nostro Collettivo, che all’epoca era uno degli attori di Biagini. Dopo questo incontro abbiamo pensato fosse interessante continuare a lavorare insieme. Siamo stati a Pontedera nel 2017 e lì si è svolta la prima esperienza di lavoro insieme fuori dal contesto universitario. Io avevo appena compiuto vent’anni. Abbiamo quindi affittato uno spazio in Bolognina per incontrarci. Facevamo orari folli, talvolta fino a mezzanotte per poi tornare io a Padova e Eduardo a Pontedera dove vivevamo. Questo è stato l’incipit. Tutto ciò è sfociato nella creazione del gruppo. Siamo rimasti noi membri fondatori e negli anni si sono aggiunte altre persone. Tutto questo ha permesso di realizzare il primo progetto come Collettivo. L’abbiamo chiamato La città fertile e si è svolto nel 2018 alle Scuderie qui a Bologna. Questa esperienza ci ha aiutato molto. Abbiamo potuto conoscerci meglio e comprendere come strutturarci come Collettivo. In seguito, abbiamo fatto residenze in Italia e all’estero. Catania, Modena, Genova, poi a Parigi e anche in Turchia. Durante queste esperienze creavamo materiali su materiali. In seguito, sono nati gli spettacoli La cena e Il concerto di cui faremo l’anteprima stasera per il Festival di Primavera.
Da dove nasce l’idea di questo Festival?
Chiara: il nostro desiderio era di fare una festa insieme a tutte le persone che abbiamo conosciuto in questi anni e di creare un’occasione affinché anche tra di loro potessero conoscersi. Poi abbiamo iniziato a viaggiare e la festa veniva sempre rimandata. Quando ci siamo decisi a fissarla nel 2020 è saltato tutto causa Covid. Siamo riusciti quindi a realizzarla nel 2021 al Teatro Ridotto a Lavino di Mezzo.
Com’è strutturato e a cosa vi siete ispirate?
Federica: Quest’anno è come un ritorno, è come chiudere un cerchio. L’anno scorso era in un contesto specifico e lontano, verso la campagna. Quest’anno si svolgerà tutto in Città proprio per aprirci ad essa. Vogliamo aprirci a persone esterne che prendano parte all’organizzazione stessa della festa. Anche io sono entrata a far parte del collettivo in questo modo proprio l’anno scorso, dopo questa esperienza artistico organizzativa che abbiamo riprodotto anche quest’anno. Si tratta di una call aperta a chi desidera prendere parte all’organizzazione. Quest’anno hanno aderito 5 persone! Stiamo inoltre invitando persone esterne presentandoci durante laboratori di danza o illustrazione.
Su cosa si basa la vostra ricerca?
Antonella: quando Mario Biagini ci invitò a Pontedera per la seconda volta capimmo che dovevamo prendere una decisione. Volevamo fare dei progetti insieme e c’erano tutte le carte in tavola per farlo. Abbiamo quindi fatto una riunione durata tre giorni durante il pranzo, nel pomeriggio, la notte… Eduardo ci dava degli input, ci ascoltava e poi se ne andava. Abbiamo quindi deciso di muoverci su una ricerca che posso sintetizzare in questa frase: come il linguaggio che utilizzavano i nostri nonni, alla loro epoca, potrebbe risuonare oggi nel nostro presente e anche nel futuro. È nata quindi questa forte volontà di collegare il passato con il presente per non dimenticare da dove veniamo. E’ inevitabile che quando cali il passato sul presente cambia rispetto a ciò che era, in qualche modo stride. E’ in quella frizione lì che stiamo cercando il nostro varco, vogliamo vedere dove ci può portare. La nostra ricerca è quindi sicuramente improntata anche sulle origini di ognuno e ognuna di noi.
Qual è l’obiettivo? Cosa volete trasmettere?
Chiara: penso che a questa domanda ci siano più risposte. Una di queste, che sento molto personale, è che questa ricerca mi da modo di trovare una posizione nel mondo, in un senso molto concreto. Da quando lavoro con il Collettivo ho avuto modo di interfacciarmi con alcune cose della mia stessa vita, del mio passato, della mia famiglia di cui non ero consapevole. Mio padre era Direttore di coro quindi ho sempre vissuto immersa nei canti popolari. Erano già in me. La parola giusta è proprio consapevolezza. È come se ora fossi capace di guardare sia indietro, sia qui, sia davanti grazie a questo processo che mi spinge a chiedermi cosa c’era prima, cosa c’è adesso, cosa ci sarà.
In una società in cui si tende a costruire la propria identità senza tenere conto che il presente esiste grazie al passato e che quindi non puoi vivere staccandoti completamente da esso sia dal punto di vista storico sia identitario, quello che state facendo è davvero straordinario. Da l’idea di quanto l’identità del presente sia frutto di questa eredità, di una continuità temporale da cui non possiamo esimerci se vogliamo davvero rimanere connessi con ciò che davvero siamo.
Antonella: l’effetto di questa ricerca, ciò che arriva, solo voi sapete qual è. Noi non possiamo guardarci dall’altra parte. L’obiettivo, le piccole tappe che ci poniamo sono gli spettacoli, i progetti perché ti accendono quel desiderio di continuare ad approfondire e di proseguire. Anche quando arrivano momenti difficili, ostacoli, devi andare oltre e superare i tuoi limiti. La nostra ricerca è in continuo divenire.
Come mai siete approdate al teatro?
Federica: la prima volta che sono entrata a far parte di un gruppo teatrale avevo 8 anni. Sono sempre stata una bambina timida e bullizzata ma quando salivo sul palco non percepivo più tutto quello che stavo vivendo poiché riuscivo finalmente a percepire la vera me stessa. Quando rientravo a casa ero un’altra persona, solare e senza più voglia di litigare. E’ una cosa che concretamente mi fa andare avanti. E’ una grande passione. Ora che ho finito l’università e che non ho altri impegni penso che senza teatro farei davvero fatica. Per me è davvero importante e fondamentale che ci sia.
Chiara: il teatro per me è sempre esistito, l’ho sempre fatto fin da piccola. Il Liceo poi è stato fondamentale per la mia formazione teatrale e non solo. Proprio in quegli anni, prima di venire a Bologna, ho lavorato parecchio a Padova dove avevo fondato una compagnia insieme a una regista. Abbiamo creato un progetto facendo vari percorsi, ricercando fonti, materiali, scrivendone il copione, parlando con esperti. Quindi ci siamo concentrate molto sul percorso piuttosto che sulla meta finale. In seguito, mi sono iscritta a drammaturgia al Dams ed ora studio antropologia. Capire dove vanno le cose, farsi delle domande, chiedersi il perché di ciò che accade. Poi magari non c’è la risposta ma intanto è già tanto che sia arrivata la domanda. Perché se non te la fai significa che c’è qualcosa che non vediamo, che non percepiamo. È davvero potentissimo quello che riusciamo a creare insieme come Collettivo. Quando cantiamo tra di noi, quando facciamo training è qualcosa di speciale. Uno spettatore dopo averci visto ballare e cantare insieme ci disse che gli avevamo ricordato le donne di una volta quando cantando portavano il bucato a lavare. Questo è molto interessante: vedere cosa riusciamo a far emergere dalle persone.
Le energie, le essenze, al di là dell’etnia, della nazionalità, delle culture, quando sono messe insieme, accumunate da un desiderio così forte, possono sprigionare qualcosa di meraviglioso. Questo sicuramente è ciò che ho percepito anche io vedendovi.
Antonella: Io ho iniziato a fare danza a 4 anni. Quando andavo a scuola e c’erano delle recite volevo fare la protagonista. Volevo fare tutto io. Salivo sui tavoli, recitavo le poesie. Penso che sia una parte del mio carattere essere al centro dell’attenzione. Sono esplosiva. Un po’ per indole e un po’ perché il teatro appunto mi ha dato la possibilità, in tutto questo tempo, di essere sincera con me stessa. Di guardarmi davvero dentro, senza vergogna, con paura ma superando delle scissioni e delle ferite che la vita ti pone. Però non è un mezzo, è un processo, in cui sono dentro. Dalla danza ho iniziato a fare corsi di musical. E ho compreso che danza e canto potevano unirsi nel teatro.
In questa epoca stanno avvenendo tanti cambiamenti rispetto al ruolo della donna nella società e quindi anche nel teatro. Sono tante e molto interessanti le tematiche che stanno emergendo. Come lo vivete voi che siete così giovani e preparate? E soprattutto come vorreste che si evolvesse il tema del femminile all’interno del teatro?
Antonella: quando faccio teatro nel collettivo non vedo differenza di genere. Però quando partecipo a eventi teatrali esterni, mi capita spesso di trovare contesti in cui ci sono donne a parlare della forza delle donne. È vero, qualcosa sta cambiando. C’è una presa di posizione molto forte. Io sto prendendo questa scia perché alla fine è un modo per parlare di me. Questo è quello che sento.
Chiara: Sul tema del femminile nel teatro vedo che siamo ancora molto lontani da quello che sarebbe il mio ideale. Penso che siamo lontani in generale anche sulla questione femminista. Nel mondo dello spettacolo le discriminazioni sulle donne avvengono ancora in modo molto sottile ed è ciò che mi crea più disagio. Penso anche che sia un tranello della nostra epoca: possiamo aprire qualsiasi discorso ma tutti confluiscono tra di loro, tutto è interconnesso. Nel mio piccolo non so cosa fare se non impegnarmi nel rapportarmi con i miei colleghi cercando di fare proposte che vadano oltre al genere e che restino in uno strato di consapevolezza nel fatto che le differenze ci sono e sono importanti.
Tutto quello che facciamo sono semini che posso creare cambiamenti. Forse non ne raccoglierai i frutti oggi o domani ma continuandoli ad annaffiare alla fine germoglieranno e daranno dei frutti. Penso che sia importante che ogni donna senta l’importanza delle cause che pone. Anche se la percezione è quella che si perdano perché sono piccoline, in realtà sono la cosa più potente che ci sia. È nell’insieme di queste azioni, nell’unire i vostri intenti che avete generato una forza propulsiva che ora sta portando avanti questo bellissimo Festival.
Antonella: Vorrei sensibilizzare le persone sul fatto che il teatro è importante. Noi lo facciamo credendoci e ci piacerebbe vedere giovani come noi interessati. Preferisci fare l’aperitivo? Ma pure io! Però vieni anche a teatro.
Federica: in antitesi con Chiara io sono molto ottimista. Quando guardo il passato tendo a vedere quanto è stato creato, quanto è cambiato. Certo, c’è del lavoro da fare ma questo non vuol dire che non ce la faremo. Solo il fatto che sempre più persone alzano la voce per affermare i loro diritti, e questo vale sia per la questione femminista sia per il razzismo e altro, è un cambiamento. Vedo che negli ultimi spettacoli di compagnie molto giovani e piccole c’è questa grande apertura verso la diversità e anche verso la sessualità, nello specifico il riprendere in mano il diritto di sessualità da parte della donna. Fino a qualche decennio fa la donna era un oggetto. Adesso sta prendendo in mano la propria vita anche da questo punto di vista. Sto notando questa grande apertura verso il diverso. Penso che stiamo andando nella direzione giusta e che ce la faremo.

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