Una metropoli come Tokyo rimanda subito a grandi suoni, rumori, caos e inquinamento acustico.
E invece per me Tokyo è anche silenzio. Certo, non in senso assoluto, ma c’è un grande rispetto per i timpani altrui. Sul treno, gli uni contro gli altri, ai limiti spesso del sopportabile umano, nessuno parla: sarà il sonno, ma si tende a rendere lo spostamento obbligatorio verso il luogo di lavoro, quantomeno sopportabile a livello acustico. Sono infatti banditi dai vagoni gli squilli di cellulare (è richiesto più volte di metterli in modalità aereo, i cartelli che invitano a farlo sono ovunque), non si può parlare al telefono, niente messaggi vocali, anche una chiacchiera spesso è mal vista, in una sorta di pace degli acufeni che quasi risarcisce dello spazio vitale inesistente.
Anche nelle hall dei grandi palazzi, dove il marmo fa da cassa di risonanza, è richiesto un certo controllo vocale, negli ospedali, in alcuni ristoranti, senza contare i templi: luoghi che sono di pace sonora e che propongono in alternativa un libro, un manga, il recupero delle notizie della mattinata.
Il tono voce, è qui utilizzato con un’evidenziatore d’espressione: infatti, mentre in un normale discorso tra amiche, il tono della voce viene mantenuto di decibel impercettibili, le esclamazioni sono spesso fuori da questa partitura silenziosa e si fanno notare. Come nei manga, dove le espressioni di stupore, sorpresa e paura vengono sottolineate con l’utilizzo del caps+lock, così è nelle conversazioni quotidiane. Molto curioso e di certo divertente per gli amici che mi vengono a trovare sono i rumorosi cuochi di ramen e dei sushi bar che, all’arrivo e dopo aver finito il pranzo o la cena, si sperticano in ringraziamenti con volumi tutt’altro che quieti, atti a voler esprimere completamente la propria riconoscenza ad un cliente che ha scelto il loro locale. Altra chicca sonora, che però ammetto essere un po’ fastidiosa almeno per me, sono i commessi dei vari corner negli innumerevoli shopping mall che cercano di attirare clientela verso il proprio brand, in un vortice di voci e volumi che producono in me l’effetto contrario: la fuga.
Utilissima e divertente invece, la caratterizzazione delle fermate della metro: ogni fermata ha una propria musichetta che aiuta bambini, disabili e distratti (come me e i sempre presenti addormentati nei treni) a riconoscere la fermata in questione, evitando così di saltarla o di perdere una coincidenza. Ovviamente, a volte, non funziona, ma quando mi è capitato di aver continuato la mia corsa, ho colto l’occasione per imparare nuove canzoncine in stazioni in cui non ero mai stata (e per inciso, in cui non saprei tornare).
Un capitolo a parte, meritano i jingle dei negozi (di solito profumerie ed elettrodomestici, famosissimo e molto orecchiabile quello di Yodobashi Camera ad Akihabara) che rimbombano a volumi in Dolby Sorround per le strade, anche le più tranquille, e ti accompagnano in tutti gli acquisti, diventando un ritornello che vi assicuro non vi si toglierà più dalla testa. Credo che la scelta di caratterizzare i luoghi per suoni e non per immagini, stia nel fatto che se un’immagine la si può non vedere, con la testa perennemente immersa nei telefonini, un suono o una musica entrerà nei timpani dei malcapitati a prescindere dal loro volere. Sempre ad Akihabara, per timpani allenati, troverete molto divertente aggirarvi per le sale giochi i cui videogiochi riusciranno a confondere i loro suoni con le esclamazioni di vittoria o tristezza dei loro avventori, e potranno portarvi verso nuovi mondi e livelli di decibel mai raggiunti prima dove parlare con il vostro amico sarà una sfida.
Insomma, per concludere, come sempre questa città di rivela per me tutto e il suo contrario, riesce ad essere un’oasi pacifica in contesti dove siamo abituati al caos, e poi ti sorprende in una overdose di suoni da confondere ogni senso, pagando lo scotto di una immensa necessità di farsi riconoscere in un mare colmo di proposte di ogni tipo.
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