Moderno, antico, tradizione, evoluzione.
L’armonia della convivenza di questi elementi fa di Tokyo una delle città più complesse che esistano. Apertosi alla modernità solo nel tardo Ottocento, quando l’Italia si faceva Stato e l’America aboliva la schiavitù, il Giappone conserva avidamente le tradizioni, i gesti, i saperi che hanno contribuito nel passato a renderlo misterioso, bellissimo ed esotico.
Non è inusuale a Tokyo passeggiare per le strade delle zone più antiche, quelle che hanno resistito al vetro, all’acciaio, alla corsa verso il cielo, scorgere dei piccoli templi buddisti e shintoisti, con il rosso dei loro torii, l’inconfondibile forma delle pagode e vederli frequentati da salary man in abito da lavoro, ma anche da famiglie giovani e da turisti curiosi. Sembra quasi che questa città, dove tutto gira come un carosello, dove tutto e il suo contrario coesistono in armonia, si vogliano mantenere punti fermi e saldi, ci si voglia ricordare, al netto degli impegni quotidiani e lavorativi, che le radici ci sono, sono profonde, che non si devono tagliare, devono rimanere lì dove sono state generate per non dimenticarsi mai chi si è stati, rendendo così il passato un centro di gravità permanente attorno al quale reinventarsi ma anche riscoprirsi.
La zona di Asakusa è per me uno degli emblemi di questa commistione di epoche storiche e archittetture, fitta com’è di case tradizionali di legno, miracolosamente scampate al tempo, ma è anche dove campeggia alta e fiera la torre di telecomunicazioni più alta del mondo, lo Sky Tree che con i suoi 634m campeggia su tutta la zona Nord Est della città, diventando punto di riferimento ed elemento di rottura con uno skyline che di moderno ha ben poco. Qui si può passeggiare per Nakamise-dori, passaggio obbligato per arrivare al Senso-ji, il più grande e importante tempio buddista di Tokyo, cuore pulsante dell’area e della cultura giapponese, nella quale si respirano i profumi del vero streed food e ci si può perdere nei negozi di souvenir e ceramiche tipiche, rendendo questa esperienza un autentico tuffo nel passato. Io ritrovo qui il senso di questa metropoli, le luci spaziali dello Sky Tree riescono in qualche modo a sposarsi con il calore del legno e delle lanterne di Asakusa, facendo di questo luogo l’autentica espressione architettonica di Tokyo, che allunga le proprie radici verso l’altro riuscendo a non separarsene mai.
Quello che fa di questa città uno spazio a volte sospeso tra il modero e l’antico è la presenza di molte ragazze giapponesi in abito tradizionale: in metropolitana e nelle strade, nei giorni di festa, donne, uomini e bambini spesso si recano al tempio in kimono e geta (i tradizionali sandali infradito), sfoggiando tutta la sontuosità e le regalità delle sete, dei ricami che brillano al sole, muovendosi in complesse e curatissime acconciature con eleganza e compostezza. Soprattutto il secondo lunedì di Gennaio, quando si festeggia il seijin no hi, il giorno della maggiore età, le strade, i locali e i luoghi di culto pullulano di giovani donne e uomini in kimono, con obi (la tipica fascia di seta con la quale si chiude il kimono) dai colori sgargianti a simboleggiare la gioventù, la freschezza dello spirito con la quale si accoglie questo traguardo: guardare questi giovani ventenni, nei loro sorrisi migliori, ti rende sospesa nel tempo, ti fa dimenticare l’epoca in cui sei, immergendoti in una cultura di cui sappiamo poco e che a volte può essere difficile da carpire nella sua totalità. Ad oggi, i vecchi kimono e i tessuti degli obi vengono spesso riadattati come tovaglie, rivestimenti per cuscini, runner per la tavola: si trovano molti artigiani che con sapienza, maestria e rispetto riescono a ridare vita a questi pezzi di stoffa che sono i pezzi di un Giappone ormai scomparso ma vivo più che mai, che sa farsi spazio nel terzo millennio, portando con sé la tradizione della propria grandezza.
La bilancia temporale sulla quale si cammina a Tokyo la rende unica nel mondo, quando si vuole fuggire da una modernità spesso sterile di stimoli autentici, qui è ancora possibile rifugiarsi nella pace di un giardino di camelie, in un tempio, in una stretta via di ristorantini tipici, farsi riempire gli occhi di colori, tessuti, fantasie e respirare un po’ di quell’aria eterea e misteriosa di cui abbiamo potuto leggere solo nei libri.
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