/Bali/.
Voce del verbo staccare, presente indicativo.
Quando atterri su questo esagono di terra, il tempo inizia a scorrere diversamente: prima più frenetico, con mille volti, mille voci di driver e taxisti che attendono cartelli alla mano i turisti designati, poi il suono assordante dei clacson per le strade principali, sciami di motorini come schegge impazzite e ti inizi a chiedere dov’è la serenità che ti era stata promessa. E poi, eccola là, la serenità, dopo un viaggio in auto di due ore, fuori dal caos cittadino, eccola là, in una casa in mezzo alla giungla, arrampicata in una strada sterrata, con suoni che non ti sono familiari, con volti nuovi, sorrisi smaglianti. Eccola là, l’avventura.

Qui capisci che sì, ma certo, solo il verde può essere il colore della speranza, qui tra queste palme, tra queste foglie gonfie ed enormi arbusti, dentro questo colore pieno, carico di acqua e vitalità inizi a respirare con stupore l’emozione che la natura deposita nei tuoi occhi, facendoti percepire quanto lontani siamo andati da essa e se mai davvero ne siamo stati così a contatto. L’impatto con Bali è forte e lieve al contempo, arrivi privo di punti di riferimento, senza un odore conosciuto, all’orecchio senti una lingua incomprensibile e dondolante in pronuncia, eppure con un sorriso, un gesto gentile, e gli occhi scintillanti per la meraviglia ti senti dove volevi essere, esattamente lì anche se non sapevi come sarebbe stato, perché volutamente ci siamo caricati di meno aspettative possibili, perché volevamo capire l’impatto e non prepararci ad esso.
Il nostro viaggio parte da Ubud, capitale culturale dell’isola, una città caotica e bellissima, costruita in armonia con la foresta circostante cercando di non mancarle di rispetto. Capitale culturale dicevamo ma anche spirituale, in quanto in quest’area sorgono i monumenti e i templi più belli e maestosi. E sono proprio i templi o pura (dal sanscrito: città murata) l’altra grande meraviglia di quest’isola, roccaforte induista in un Paese, l’Indonesia, a maggioranza musulmana. Ogni villaggio conta sempre tre pura, e ogni abitazione ha sempre un proprio altare casalingo che protegge gli abitanti della casa, al quale si portano le offerte di fiori e cibo. Non per altro, Bali è l’Isola degli Dei: 20.000 i templi totali, senza contare gli altari privati, le statue di Ganesh all’entrata di ogni edificio atte a proteggerne gli inquilini. C’è un vento di forte spiritualità che pervade questa parte nord dell’isola, che ti entra negli occhi e nello spirito senza che tu possa resisterle, un senso di forte rispetto di ciò che la natura ha messo per secoli e nel quale gli esseri umani hanno dovuto scavarsi un proprio posto. Nell’area di Ubud ci sono anche i grandi terrazzamenti di riso i quali sistemi irrigatori (subak) sono patrimonio UNESCO: le più importanti espressioni sono Tegallaland e Jatiluwih che figurano tra i più importanti paesaggi culturali del mondo. Le risaie balinesi sparse nell’isola, seguono la topografia a cascata degli altopiani e sono ben gestite da cooperative dei villaggi locali.

I luoghi spirituali che si trovano in un raggio in qualche kilometro sono innumerevoli: per citarne due, il tempio di Tirta Empul, con la sua fonte di acqua sacra in cui i fedeli si purificano e il tempio di Goa Gajah, scavato nella roccia da più di 600 anni che rappresenta l’emblema di come a Bali buddismo e induismo abbiamo sempre convissuto pacificamente e si siano influenzati l’un l’altro.


L’anima di Bali è qui, nel cuore pulsante della giungla, dove il tempo scorre a ritmo di yoga, tra clacson e galli mattutini, tra un piatto di nasi goreng e una noce di cocco aperta per strada e bevuta sul momento, avvolta in coloratissime stoffe e intrecci di legno, scolpita nella roccia e cesellata nel legno, vive nei colori delle porte finemente decorate e nei sorrisi locali di questo popolo così riconoscente alla vita.

Vale quindi mantenere Ubud come centro di gravità per poi partire, in giornata, alla scoperta della costa e dei fantastici tramonti balinesi, finestre su uno spettacolo naturale senza ostacoli all’orizzonte. Le spiagge a sud dell’isola sono lunghissime, di sabbia fine che crea polverosi mulinelli incontrandosi con onde lunghe e maestose cavalcate dai tanti surfisti che affollano l’isola in ogni periodo dell’anno. Il tempo qui è scandito dal suono dei brindisi di birrette fresche e succhi di frutta, ed è possibile vivere un’atmosfera vacanziera e festaiola perenne, dove i giovani la fanno da padrone e dove il cielo si riveste dei suoi colori più saturi e sgargianti. Un’atmosfera e una mondanità forse un po’ avulse dalla quiete e dal contatto con la natura precedente, che tende ad appagare un senso estetico moderno e social più che un’esigenza personale e intima ma che di certo completa in maniera degna un viaggio all’interno di questo angolo di Indonesia.

Bali è un patrimonio umano e spirituale che va preservato dall’arroganza turistica alla quale rischia di soccombere, che va sottratta alle colate di cemento che iniziano ad essere più consistenti dei tronchi di legno delle foreste. In qualità di ospiti lo dobbiamo a questo ambiente culturale e sociale che si è preservato ed è riuscito a resistere vergine all’imbarbarimento moderno, dove la gentilezza e il sorriso sono le vere monete di scambio, dove i materiali sono ancora vitali, grezzi e veri, dove si respirano origini, odori ancestrali e si provano sensazioni antiche che forse non abbiamo (ancora) perso del tutto.
A presto, Balè.

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