Dal 30 settembre al 29 ottobre di quest’tanno si è svolta a Lodi la quattordicesima edizione del Festival della Fotografia Etica, e la città è diventata un’enorme galleria fotografica. Temi diversi, dal mondo dei fuoriusciti nordcoreani ai popoli andini, passando per la crisi climatica. Professionisti e non, tutti alla ricerca di una fotografia attenta ai temi più sensibili. Sette sedi diverse sono state dedicate alle esposizioni dei professionisti, mentre i non professionisti sono stati i protagonisti del circuito off in giro per la città.
Nias fa parte dei fotografi off: insegnante di lettere, viaggiatrice e fotografa, a Lodi ha esposto un lavoro sulle guaritrici mapuche del Cile. Una ragazza allo specchio, oggetti, uno sguardo tra madre e figlia. Il bianco e nero colpisce subito, e Nias è una ragazza generosa, che condivide volentieri le sue esperienze. Col suo sorriso simpatico racconta che è figlia d’arte: i suoi genitori sono entrambi fotografi e lei da osservatrice anche un po’ riottosa ha assorbito la grammatica della fotografia, per poi riproporla. “Ho sempre vissuto la fotografia solo in viaggio, come qualcosa di separato dal quotidiano, solo dopo il lockdown ho cominciato a ritrarre la mia città”.
Newen, il lavoro esposto a Lodi, nasce da un lungo periodo vissuto nella comunità indigena rurale mapuche del sud del Cile. La vita insieme ha aperto la strada al rapporto con le machi, guaritrici tradizionali del corpo e dell’anima con tanto di biglietto da visita e smartphone. “Tutto molto poco esotico e segreto, anzi, quotidiano, quasi banale” ha commentato Nias. Superata la diffidenza iniziale, giustificata anche dallo sfruttamento secolare, la popolazione ha adottato Nias. Per conoscerla e per conoscere le ragioni per cui si era trovata a vivere tra loro, il capofamiglia l’ha interrogata sulla sua storia familiare fino alla quarta generazione precedente. “Penso si chiedessero perché una bionda occidentale fosse così interessata al loro mondo. Nei confronti degli stranieri si sente più curiosità che ostilità, i problemi maggiori sono forse con i cileni, dai quali i mapuche si distaccano, come altre società tradizionali rispetto alle nazioni nelle quali vivono.” Il cambiamento e lo sfruttamento ambientale, fatto di dighe e falde inquinate, non hanno risparmiato questo angolo di mondo. La popolazione ha quindi cominciato ad organizzarsi per riprendere le proprie terre ancestrali, il cui valore non è monetizzabile, connesso com’è agli spiriti e alle energie. E infatti anche il processo di guarigione comincia con un appello alla natura, dopo il quale la guaritrice, o il guaritore, si abbandona ad una dimensione non terrena, chiedendo alla Terra l’accesso alla dimensione della malattia e poi della cura, portata avanti con metodi alternativi alla medicina occidentale. L’esproprio delle terre è dunque prima di tutto l’esproprio di un’identità, e poi di una risorsa concreta, vista la connessione profonda della popolazione al luogo in cui vive.
È evidente che Nias ha a cuore le ragioni e le lotte dei suoi soggetti. “Bisognerebbe sapersi allontanare, dovrei imparare ad entrare più dentro mantenendo maggiore distanza. Per ora non ci riesco.”
Ma la relazione e lo sguardo del viaggio si possono riproporre anche qui, non c’è bisogno di andare via, e con l’inizio della vita adulta Nias si è riportata tutto a casa, anche lo sguardo sperimentato sotto altri cieli. E sono nati altri lavori. Come Paesaggi Femminili, realizzato durante il lockdown, con le amiche che hanno aperto la propria casa e il proprio corpo all’obbiettivo. Nudi, e non solo, femminili, e i gesti quotidiani sono diventati un progetto tuttora in svolgimento. “Con la chiusura forzata abbiamo aperto le nostre case e abbiamo imparato a vivere lo spazio familiare in modo diverso, in relazione con l’altro. Diventando soggetti fotografici, come nel caso delle mie amiche. Anche se non è stato facile per tutte mettersi a nudo davanti all’obiettivo.”
Oppure con (A)simmetrie Apparenti si mappa un quartiere multietnico della propria città, la Darsena di Ravenna, mettendo a confronto visi e sguardi che vengono da mondi diversi, in un gioco tra distanza e vicinanza. Anche questo è un progetto tuttora in corso, che vede l’alternarsi di volti, apparentemente separati di spazi vuoti, ma in relazione tra loro, pronti ad incontrarsi. Come il sorriso di Nias e il sorriso senegalese di Awa, l’una di fronte all’altra.
Lascia un commento