Rivelare la propria vera natura, quel potenziale che solo e unicamente quella persona possiede, non è mai stato così importante come in questo momento storico pieno di sfide globali che richiedono sempre più la capacità di reinventarsi e aprire nuove strade. C’è chi si butta senza paura, chi osa con coraggio per provare a realizzare un progetto di vita più affine alla sua essenza. Chi invece ancora tentenna con timore, rimanda, sente che ancora non è arrivato il giusto momento. E poi c’è lei, che di accompagnare sia le più coraggiose sia le più numerose a costruire un nuovo business, ne ha fatto la sua mission di vita. Giulia Fiumi, Strategist Marketing, con immensa grinta, professionalità ed entusiasmo, dopo 12 anni di carriera nelle grandi multinazionali, ha deciso di dedicare tutta sé stessa nel sostenere piccoli nuovi business femminili nel percorso di crescita. Della serie: se pensi di non farcela, ascoltala e ogni cellula del tuo corpo si ricrederà. Attenzione però ai falsi miti. Lanciarsi nel lavoro in proprio perché il vecchio non piaceva, piuttosto che avere sogni senza aderenza alla realtà rischia a volte di lasciare solo l’amaro in bocca, senza un futuro. Quindi idee e azioni concrete chiarite, business plan alla mano e via. Insieme a Giulia ho avuto il piacere di approfondire il suo percorso professionale e di vita, di farmi ispirare nuovamente su quanto l’impegno e lo sforzo quando accompagnati da una grande passione possono dare forma a tutto ciò che desideriamo e forse, oltre ogni aspettativa, anche a qualcosa di più.
Da dove nasce la tua passione per il marketing e perché hai deciso di farne la tua professione?
Fin dalle superiori pensavo di iscrivermi all’Università di lettere antiche visto il mio amore per il latino e il greco. Mi immaginavo un topolino da biblioteca. Poi un giorno a scuola ci fu un incontro per capire come avremmo potuto applicare nel lavoro tutto quello che stavamo studiando. In particolare, un signore ci spiegò che era grazie a Cicerone se esistevano marketing e pubblicità oggi, facendo un parallelismo tra prosa latina e comunicazione odierna. Lì mi si è aperto un mondo. Tutto quello che stavo studiando pensavo fosse parte del passato e invece era il presente. Uscita da quell’incontro pensai: cambio tutto. Feci una tesina sul marketing e decisi di fare il test di ammissione per l’Università di Economia Bocconi, a Milano. Fui ammessa e così feci tre anni di economia aziendale e poi proseguii con due anni di Marketing Manager un corso incentrato sullo studio del consumatore e del suo comportamento anche dal punto di vista psicologico e umanistico. All’ultimo anno, mentre ancora studiavo ho iniziato a lavorare alla Nestlè.

Ad un certo punto nella tua vita ti sei buttata e hai fatto quello che tu definisci il Jump quindi il salto verso la libera professione. Perché hai deciso di farlo? E attraverso questa scelta cosa hai guadagnato e a cosa invece hai dovuto rinunciare?
Ci tengo sempre a dire che la narrativa legata al jump non è doverosamente legata a un malessere lavorativo. Io stavo benissimo nel luogo in cui ero. In quel periodo vivevo già qui a Dubai da un bel po’, ero regional marketing manager per Peroni Nastro Azzurro, ma dopo 12 anni di questa carriera mi sono chiesta: What’s next? Voglio davvero continuare con una carriera internazionale? Quando mi facevo queste domande pensavo che non sarebbe potuta andare meglio di come già stava andando in quell’ambito lì. Avevo un capo australiano pazzesco che mi aveva insegnato una prospettiva del lavoro fresca, bella, dinamica, libera. Al contempo in quel periodo avviai un travel blog che chiamai “Spaghetti Airways” che mi permise di fare esperienza di gestione di un brand da zero attraverso i social. Nonostante i numeri piccoli, nel giro di un anno questo travel blog diventò partner di compagnie aree e hotels in giro per il mondo, e dal successo di #SpaghettiAirways imprenditrici e imprenditori iniziarono a contattarmi per fare lo stesso con i loro brand. In quel momento compresi che costruire il mio brand, il mio progetto era davvero quello che mi interessava. Ho scommesso e ho detto: ci provo! Provo a costruire il mio business da zero. È stata prima di tutto una scelta di vita. Volevo che la libera professione seguisse i desideri e le ambizioni della mia vita come viaggiare, gestire senza limiti il mio tempo. Questa è stata una scelta in cui ho sicuramente guadagnato in termini di pienezza, di godimento della vita ed anche di consapevolezza. Ho sicuramente invece perso il comfort. Quando si diventa imprenditrici di sé stesse il concetto di comfort cambia radicalmente, quasi non esiste più, neppure quando si raddoppia o si raggiunge il fatturato perché è una continua evoluzione.
Cosa rende un’idea imprenditoriale vincente?
Bisognerebbe chiedersi vincente per chi? Che cos’è vincente? Cosa lo decide? Il fatturato? Il quantitativo di clienti? A me piace parlare di idee imprenditoriali sostenibili, che rispecchiano quello che la persona in quel momento della sua vita sente il desiderio di fare. Può essere un mix di fatturato, tempo, soddisfazione personale… credo che il concetto di vincente sia molto relativo ed è importante che lo sia.
Tu aiuti le imprenditrici a rivelare la loro unicità e a costruire su di essa una strategia di marketing. Quali sono le caratteristiche emerse dalle donne con cui hai lavorato che più ti hanno più arricchita a livello umano?
Accompagnare le donne nel riconoscere i propri bisogni, nel sapersi guardare dentro per individuare la propria unicità e la propria visione di successo, questo indubbiamente è ciò che più mi arricchisce. Fare questo percorso insieme a loro. Quando ho iniziato il mio lavoro da Strategist, venendo da anni e anni di azienda, non avevo subito colto che fare marketing personale fosse prima di tutto una questione di vulnerabilità, ma più lavoravo con professioniste e imprenditrici più non potevo curarmi delle loro paure, dei loro blocchi, e quindi della loro consapevolezza. Domande come: “Cosa vuoi veramente ottenere con il tuo progetto?” oppure “Cosa significa per te essere di successo?”. Queste sono domande che non siamo abituate a farci, siamo costantemente concentrare sul “fare”, e non è sempre facile fermarsi per riflettere. Col mio lavoro ho la possibilità di lavorare con delle professioniste che con me si mettono in gioco davvero tanto e che mi danno una fiducia enorme. Fare Marketing personale in modo consapevole, è un percorso di trasformazione, serve addentrarsi nella profondità della persona per aiutarla a mettere a fuoco e poi a seguire la propria visione. E indubbiamente il processo che più mi da soddisfazione è rendermi conto che questo lavoro ha un reale impatto nella vita delle persone.
Dagli ultimi dati del World Bank Gender Data Portal emerge che nel mondo solo un’impresa su tre è guidata da una donna. Le percentuali maggiori sono in Asia dell’Est e Pacifico luoghi dove è attribuita quest’alta presenza di business femminili a causa della bassa offerta di lavoro per le donne. In Occidente, nonostante ci sia una scelta maggiormente determinata dal desiderio di perseguire un sogno, la percentuale si abbassa ulteriormente. Secondo te quali sono i fattori che frenano una donna a compiere questo balzo coraggioso? E cosa potremmo fare a livello locale e internazionale per incentivare la crescita di business femminili?
Domanda da un milione di dollari! Alla quale risponderò portandoti la mia personale esperienza. Quando mi sono messa in proprio, ho da subito iniziato a lavorare con imprenditrici che provenivano da ogni parte del mondo, Singapore, Australia, Dubai… ma quando ho iniziato a lavorare con le imprenditrici italiane mi sono resa conto che la mission con loro era davvero importante. Ogni volta, infatti, mi rendevo conto che le professioniste italiane rispetto alle altre sono schiacciate da un peso culturale (ma non solo) che tarpa loro le ali. Le imprenditrici che scelgono di lavorare con me hanno un livello di maturità e consapevolezza notevole ma molto spesso il loro potenziale è nascosto, come se fosse normale tenerlo dietro le quinte, perché sono (siamo) cresciute in una cultura che non permette loro di esprimere appieno se stesse. Credo che alla base ci sia un problema di gender equality all’interno di una società che non dà i supporti adeguati. Per questo motivo, da oramai un anno a questa parte ho deciso di concentrarmi solo sull’Italia e di lavorare solo con professioniste italiane. Sento che c’è un grande bisogno di cambiare la narrativa intorno alle donne che fanno business in Italia per far sì che ciascuna di loro possa vedere con chiarezza quanto non sia vero che gli uomini possono tutto e noi no. Anche noi possiamo.
In che modo riesci a conciliare vita privata e lavoro?
Delegando e scardinando col tempo e con la terapia i sensi di colpa che mi assalivano. Mi sono messa in proprio dopo 6 mesi che Camilla, mia figlia, era nata e da subito ho voluto ritagliarmi del tempo da dedicare al mio progetto affinché questo mio business che mi stavo creando da zero potesse crescere e diventare sostenibile. Ho quindi chiuso gli occhi e delegato prima a una tata e poi al nido. Non dirò mai che riesco a fare tutto soprattutto perché mia figlia è un vulcano e non riuscirei a lavorare e al contempo stare con lei. E poi in generale. Perché se mio marito è tornato a lavorare dopo 15 gg di congedo parentale, io non mi posso impossessare del mio tempo lavorativo 6 mesi dopo che mia figlia è nata? È stato indubbiamente un grande gioco di squadra nella nostra famiglia. Avevamo entrambi sempre avuto una carriera internazionale e dunque ci siamo sempre visti e trattati sullo stesso piano, sia prima di diventare genitori che dopo.

Cosa consiglieresti a una giovane donna che vorrebbe realizzare una sua impresa?
Vorrei partire sfatando la narrativa che dobbiamo seguire sogni e passioni. Io non credo! Piuttosto credo che sia importante fare esperienza, “esperire” nel vero senso del termine. Non dirò mai a una giovane donna di seguire i suoi sogni perché non è detto che dai sogni nasca un business sostenibile. Bisogna stare molto attente. Alle ragazze che seguo dico sempre “Fai un business plan e se regge allora lo segui, altrimenti trova qualcosa di sostenibile”. Il lavoro è un mezzo non un fine. Lo scopo secondo me non deve essere quello di trovare il lavoro dei propri sogni ma di trovare un lavoro che ti permetta di realizzarli i tuoi sogni, che ti dia il tempo, le risorse e gli strumenti per realizzare ciò che vuoi per te. Se ragioniamo diversamente rischiamo di dedicare le nostre energie e tempo a inseguire qualcosa di ideale e non reale. Il mio consiglio, quindi, è di fare esperienze e, prima di costruire un business da zero, magari provare a lavorare in un’azienda. Proverei a capire cosa significa avere una struttura e dei processi prima di diventare noi quelle imprenditrici a dover costruire quei processi e quelle strutture. Io stessa sono riuscita ad arrivare dove sono oggi dopo tre anni perché dietro avevo dodici anni di esperienza. Approcciare il mio business come se fosse un’azienda da subito, ha fatto una grande differenza. Il modo in cui ho strutturato la mia attività ha fatto sì che non mi perdessi nel cammino, che tenessi a mente tutti gli aspetti. Nessuno deve per forza fare la stessa cosa però personalmente credo che qualche esperienza sia importante farla anche solo per mettersi in gioco e capire cosa vogliamo davvero per noi. Ed infine suggerirei sempre di vedere ogni cosa in modo fluido: non saremo imprenditrici o manager o dipendenti per sempre, le cose possono cambiare, e noi possiamo evolvere. Ciò che funziona oggi per noi magari non funzionerà tra 5 anni. Ascoltiamoci e seguiamo il flusso, senza paura di compromettere il nostro percorso.
Progetti per il futuro?
Sono tantissimi! Sicuramente vorrei iniziare a portare il mio messaggio anche fuori da Instagram. Mi piacerebbe fare eventi dal vivo, parlare nelle Università – cosa che sto già iniziando a fare. Sento che questa mission è importante per poter raggiungere tante persone e mostrare che c’è la possibilità per noi donne di avere un’ambizione diversa.
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