Cogliere l’essenza, la bellezza, quel sottile, silenzioso movimento che crea la magia, l’armonia, la grazia, l’eleganza anche nel caos. E poi la natura. La più antica e saggia maestra di vita che ci indica e ci accompagna nell’imparare a conoscere chi siamo davvero. E le grandi opere del passato così come scrittori contemporanei, riflessioni, radici che si intrecciano in varie forme espressive, tante, affascinanti. L’universo artistico della meravigliosa artista spagnola Irene Fiestas è tutto da scoprire a sensi spalancati pronti ad accogliere nuove sfumature, ad approfondire evocazioni della storia che solleticano ricordi di ciò che eravamo, di ciò che siamo e di ciò che da ora in poi decidiamo di essere.
Perché hai deciso di dedicarti all’arte?
Prima facevo tutt’altro poi a 26 anni ho sentito questo bisogno di dipingere che fino a quel momento esprimevo solo come autodidatta. Tutto si è svoluto in una serie di eventi in sincronicità che mi hanno portata a questa professione. Nel 2010 ho deciso di trasferirmi in Italia pur non conoscendo la lingua. Inizialmente ho vissuto a Firenze poi mi sono trasferita a Bologna dove l’Accademia di Belle Arti, secondo alcuni amici, sarebbe stata più adatta al mio tipo di arte astratta. Dopo questo percorso di studi mi sono dedicata a diverse cose come la fotografia e la realizzazione di video. Adesso che sono 12 anni che vivo fuori dalla Spagna e che ho intrapreso questo percorso mi rendo conto di quanto abbia sempre fatto parte di me. Credo che sia una necessità, un qualcosa che hai dentro e a cui vuoi dare forma.
L’ultima mostra che hai realizzato si chiama “Il Palazzo della memoria”. Da dove trae ispirazione questa idea e come sei riuscita a concretizzarla?
Tutto è partito da una novella “Memory Palace” scritta dallo scrittore britannico Hari Kunzru nel 2013 su commissione del Victoria & Albert Museum di Londra con lo scopo di proporre un dialogo fra letteratura e arte visiva. Kunzru ha ambientato questa storia in una Londra futura centinaia di anni dopo che l’infrastruttura informatica mondiale è stata spazzata via da un’immensa tempesta magnetica. La tecnologia e la conoscenza sono andate perdute e la natura si è impadronita delle rovine della città. La scrittura, il collezionismo e l’arte sono vietati. Il narratore della storia è in prigione e utilizza la sua cella come suo “palazzo della memoria” il luogo per le cose che ha ricordato: frammenti e dettagli che possiamo riconoscere dal nostro tempo. Si aggrappa alla sua convinzione secondo cui senza memoria, la civiltà è condannata. A questo proposito mi ha colpito una frase di Jorge Luis Borges: “Noi siamo la nostra memoria, noi siamo questo museo chimerico di forme incostanti, questo mucchio di specchi rotti”. Pensando al cambiamento continuo mi è venuto in mente il concetto di wabisabi ovvero l’accettazione della transitorietà e dell’imperfezione delle cose secondo la cultura cinese. La sto approfondendo molto e si collega anche all’antica arte giapponese del kintsugi che consiste nel riparare con una lacca e dell’oro in polvere oggetti di ceramica frammentati. C’è una storia che spiega bene questo collegamento. Un imperatore giapponese quando ruppe una teiera decise di non buttarla e chiese a un artigiano come fare. Lui gli propose di ricostruirla dandogli una seconda vita e rimettendo insieme i pezzi rotti. Perché non voleva sostituirla? Perché era la teiera che aveva vissuto tutte le altre cerimonie del the, aveva una memoria. Inoltre, il palazzo della memoria è una tecnica di modernizzazione che usava Cicerone. Lui cercava di ricreare una stanza con oggetti che lo aiutassero a connettersi a concetti che doveva ricordare. Da tutti questi spunti è nato il pensiero di riproporre una stanza in uno spazio di interior design, un modo di avvicinare diversi concetti a un pubblico in forma diretta, una stanza anche che contenesse elementi danneggiati dalla storia come statue bombardate che hanno dei segni, delle ferite. Mettere a fuoco questi elementi, guardarli, significa dargli una luce. Altrimenti verrebbero dimenticati. La natura è un altro elemento presente che metto sempre dentro alle mie opere. L’essenza di tutto è che le cose seppur siano transitorie, mutevoli nel tempo, imperfette e segnate dal tempo racchiudono una loro unica bellezza.
Cos’è per te la bellezza?
Qui in Italia è un concetto molto pesante. La bellezza di cui parlo io invece è un sollievo che emerge dentro di te ovunque tu possa trovarti. Anche una parete rovinata può avere la sua bellezza. Tutto dipende dalla soggettività, dallo sguardo di chi guarda quella parete. Quindi secondo me la bellezza è una condizione interiore, è una tensione dell’animo che si ritrova, si riconoscere nelle cose che hai intorno. Non accade però quando vuoi tu. Avviene tutto con naturalezza, lo senti. È una condizione dei sensi che ti avvicina a dire: esisto, sono in questo corpo, ho la fortuna di avere tutti i sensi, almeno per quanto mi riguarda, e li uso come strumenti per vivere. Come il mio corpo percepisce le cose dona un significato alla bellezza, quindi, è in funzione della nostra soggettività. Appartiene all’individuo, al contenuto e alla cultura. C’è chi trova bella l’estetica che c’è qua, chi invece trova bella quella orientale. Il mio sguardo si avvicina di più a quest’ultima.
Qual è il tuo rapporto con la natura che mi sembra di capire sia la tua principale musa ispiratrice?
Credo che ora stiamo vivendo in un periodo storico in cui è davvero importante stare vicino alla natura e sentire che è un mondo che riguarda la nostra identità. Il collegamento con la memoria è proprio legato al suo potenziale. Anche le piante hanno dei ricordi, una storia dietro. Esse ci aiutano a capire noi stessi e anche forse come dovremmo essere in futuro. Nei suoi testi Stefano Mancuso, scienziato e scrittore, parla proprio della loro sensibilità. Le piante hanno più sensi di quelli che noi crediamo. Hanno anche un modo di concepire il mondo e la capacità di socializzare tra di loro. Attraverso le radici e le sostanze chimiche comunicano. Lo fanno a livello collettivo anche per proteggersi. Quando vai in mezzo alla natura, come ad esempio in un bosco, senti che c’è un’energia. Le vibrazioni che trovi ti fanno stare diversamente e ti avvicinano alla tua essenza più profonda. Questo ti avvicina anche alla creazione.
Come stai portando avanti ora la tua ricerca?
Non riesco a focalizzarmi solo su una cosa. Prendo di qua e di là. Vorrei fare altri lavori, altre installazioni. Sto facendo una riflessione sulle emozioni e sto scoprendo dei bellissimi testi che mi stanno aiutando a capire meglio e a nutrire il mio mondo interiore. È molto interessante perché riguarda proprio il mondo della memoria. Dei testi, per esempio, che sto leggendo e che mi hanno aiutato molto sono “Atlante delle emozioni umane” Tiffany Watt Smith, “Gli oggetti e la vita. Riflessioni di un rigattiere dell’anima sulle cose possedute, le emozioni, la memoria” di Giovanni Starace, “Psicologia generale. Fonti commentate su emozione, percezione, pensiero, memoria” a cura Luigi Anolli.
In questo momento di pandemia tante persone sentono il bisogno di riscoprirsi perché si sono rese conto che il progresso perseguito sta portando a distruggere noi e il nostro Pianeta. Stiamo ricercando quindi uno sviluppo sostenibile e quindi il bisogno di valorizzare i cicli slow della natura. L’arte in tutto questo che ruolo ha?
Ci sono tanti artisti che stanno portando interessanti riflessioni sulla natura. Soprattutto sul fatto che in realtà la natura non si distruggerà mail. Troverà sempre il modo di rigenerarsi. Siamo noi che stiamo rischiando di estinguerci. Le piante rimarranno. La land art, per esempio, lavora molto su questo. Se lasciamo un oggetto in un bosco il muschio se lo riprende. Su come viene raccontato il cambiamento climatico ci sono poetiche e linguaggi diversi. È importante che ci siano queste cose e che facciano riflettere le persone. In questo l’arte ha un ruolo essenziale. L’essere umano dimentica molto velocemente. Alcuni lo stanno già facendo. Altri stanno riflettendo sull’esistenza, su dove siamo. Per me Gaia è casa. Pensiamo che le quattro mura in cui stiamo siano la nostra casa ma non è così. Le abbiamo costruite per ripararci dalla pioggia e per tanto altro ma ora sembra che vogliamo proteggerci da tutto come se tutto fosse pericoloso. Come dicevo anche prima la natura ci insegna. Le piante per esempio non possono spostarsi. Devono risolvere i problemi che hanno lì dove sono. La pandemia ci ha immobilizzato e destabilizzato. Le nostre abitudini sono cambiate. Non possiamo far finta che non sia accaduto niente. Dobbiamo imparare da quello che stiamo vivendo e riflettere come avanzare. La natura può ispirarci su come fare.
Purtroppo siamo facilmente manipolabili quando siamo privi di solide fondamenta o radici, per restare in tema. Credo che l’arte sia una parte fondamentale nella loro costruzione. È veicolo di contenuti che educano e nobilitano le persone.
L’altro giorno riflettevo con un’amica giapponese sul fatto che ci siano termini giapponesi che non si riescono a tradurre pienamente in italiano. Hanno per esempio la filosofia del bagno nella natura. Io mi chiedo sempre: cosa posso fare io con l’arte?
L’arte, la musica sono canali immediati che se fruibili dall’essere umano, inteso come dotato di tutti i sensi per fruirle, muovono le coscienze…
Io con la mia arte non voglio condurre a me ma voglio che chi la osserva possa immergersi in sé stesso. Voglio risvegliare a un senso di individualità e di identità. Accompagnare le persone a chiedersi cosa vogliono cambiare e che direzione vogliono dare a questo cambiamento. Spesso pensiamo che siano gli altri a dover cambiare le cose e affidiamo tutto alle istituzioni e all’esterno ma è solo attraverso le piccole scelte quotidiane che noi possiamo innescare un cambiamento. E penso che il concetto di bellezza qui torni essenziale.
Francesco
Bellissima intervista Irene, conservala, riproponila alla prima occasione, perché c’è la tua poetica espressa con chiarezza e passione. Complimenti
tiziana
Complimenti di cuore a Irene Fiestas per la sua arte, per quello che trasmette, e a Cristina Ropa per la toccante intervista. Grazie!
Cristina Ropa
Grazie di cuore Tiziana! Spero continuerai a seguire le storie che proporremo… Sempre su donne meravigliose come Irene!
Stefano Aspiranti
Grazie Irene, per le tue parole che anno risuonato dentro di me, facendomi riflettere nel cercar il mio senso della vita, e nell’arte che ci accompagna.
Con grande ammirazione ❤️
Stefano
Irene Fiestas
Grazie mille.A tutti comenti belli.
A Cristina per questa intrevista 💙