Di Laura Massironi
La donna sembra vera, anche se si tratta solo di una riproduzione sul sussidiario. Giulia la studia, si incanta, chiede alla maestra. Anni dopo Giulia frequenta il liceo artistico, poi le Belle Arti, indirizzo pittorico. Teatro e danza per interrogarsi sul corpo, sullo spazio che occupa, sulla presenza che impone in scena. Insegna ad adulti e bambini, viaggia. Crea.
“Per il mio lavoro di tesi mi sono mossa nello spazio su un paio di trampoli alti quanto me: in realtà non ero proprio io a muovermi, ma una performer della mia altezza. Praticamente sono diventata un modulo vivente raddoppiato”. E i lavori di Giulia Gallo ci fanno vedere proprio questo: che le convenzioni spaziali sono per l’appunto convenzioni, e allora tanto vale sovvertirle. Come ha fatto in Recording maps: “si è trattato di una performance, un gioco. Ho registrato con un linguaggio intuitivo i movimenti del pubblico nello spazio, e poi le mappe potevano essere trasportate, adattandosi al luogo in cui le portavo.” La nostra percezione e il nostro modo di registrare lo spazio è soggettivo e limitato, e la creatività può intervenire in modi del tutto sorprendenti. “Anche la semplice ripetizione può essere creativa: me ne sono accorta in Abitudini. Ho cercato di memorizzare i movimenti di altre persone per poi creare una sequenza, che ho ripetuto in video. E mi sono accorta che ad ogni ripetizione il movimento cambiava”.
L’interesse per l’incontro tra movimento e arte visiva l’ha portata lontano. “In Burkina Faso ho collaborato con due artisti che univano danza tradizionale e contemporanea. Io mi sono occupata della parte visiva, ho potuto sperimentare con il movimento. Ma soprattutto l’esperienza africana mi ha messo a contatto con il ribaltamento dei miei, dei nostri, valori estetici: il brutto era bello ed il bello era brutto. E poi l’incontro tra tradizione estrema e la cultura occidentale. E la plastica, tantissima plastica.” I copertoni erano parte della performance.
Ribaltamento delle convenzioni, anche per i materiali, che sono a volte un punto di arrivo e altre volte di partenza per la ricerca. “Ma partire dal materiale è più divertente, perché parla da solo. In Curvilinee ho pensato ad una forma e poi l’ho finalizzata con quello strumento, utilizzando il plexiglass. Voglio vedere come la pittura può interagire con un materiale, partire dalla realtà per arrivare ad una forma astratta che ognuno legge come vuole.” Non solo plexiglass: porcellana per i gioielli e ora anche il metallo. Ma soprattutto le diapositive: con i vetrini ha realizzato Donne, la cui forma non si può governare. “Sono rimasta affascinata dalle diapositive al mio ritorno dall’Africa, perché hanno in sé analogico e digitale e possono proiettare la luce e il movimento.” Il soggetto? Donne scelte istintivamente per la loro storia. Storie di chi ha difeso la propria identità, ritratta in modo non convenzionale, con la nuca in primo piano, che si nasconde o ci invita a guardare insieme a lei. I primi lavori della serie sono autoritratti, poi l’artista si è ispirata ad una serie di foto d’archivio del 1800. Da questi vetrini nasce l’idea di arrivare alle persone con un oggetto che si può indossare, nella serie di gioielli Gigi simply handmade, questa volta in terracotta.
Provare, creare. Ma la sperimentazione e la creatività si possono anche trasmettere? “Insegnare è stato difficile ma non riuscirei ad immaginarmi in un altro modo, provare a spiegare mi ha arricchito e mi ha fatto andare oltre i miei automatismi. Si parte dalla tecnica ma poi bisogna far capire che c’è la possibilità di vedere in modo diverso: creare non è una fuga, ma un modo per vivere e capirsi meglio.”
Lascia un commento